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Visione attuale dell’Umanesimo

Visione attuale dell’Umanesimo

Università Autonoma di Madrid, Madrid, Spagna 16 Aprile 1993

Ringrazio l’Università Autonoma di Madrid per l’opportunità offertami di presentare il mio punto di vista, ed il Forum Umanista dell’Università per avermi invitato a parlare oggi in questa sede. Ringrazio per la loro presenza i docenti, gli studenti, gli esponenti della stampa e gli amici, e infine ringrazio tutti voi che siete qui. L’ultimo discorso pubblico da me tenuto a Madrid ebbe luogo il 3 novembre 1989 nell’Ateneo. In quell’occasione parlai di uno dei miei libri che era stato appena pubblicato da una casa editrice spagnola. Oggi non toccheremo temi di letteratura o di poesia; faremo invece alcune considerazioni su una corrente di pensiero che postula l’attività trasformatrice dell’essere umano e le cui proposte cominciano ad essere considerate con maggiore attenzione grazie ai profondi rivolgimenti che stanno avvenendo nella società. Questa corrente è l’Umanesimo. In modo estremamente sintetico ne riassumeremo i precedenti storici, l’evoluzione e la situazione che lo caratterizza nel momento attuale. Due sono i significati che si sogliono attribuire al termine “Umanesimo”. In modo generico, si parla di “Umanesimo” per indicare qualsiasi tendenza di pensiero che affermi il valore e la dignità dell’essere umano. L’Umanesimo, in questa accezione, può essere interpretato nei modi più diversi e contrastanti. Nell’altro significato, che è più ristretto ma collocato in una prospettiva storica precisa, il termine “Umanesimo” è usato per indicare quel grande processo di trasformazione culturale che prese le mosse in Italia tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo e che, nel secolo successivo, col nome di “Rinascimento”, dominò tutta la vita intellettuale europea. Basti menzionare Nicola Cusano, Erasmo da Rotterdam, Giordano Bruno, Galileo Galilei, Tommaso Moro, Juan Vives e Bouillé per comprendere tutta la complessità e l’ampiezza dell’Umanesimo storico. L’influenza culturale dell’Umanesimo si estese a tutto il XVII secolo e a gran parte del XVIII, dove è rintracciabile nei principi che sono alla base delle grandi rivoluzioni che segnano l’inizio dell’età moderna. Il secolo successivo vede invece il lento declino, fino quasi alla scomparsa, dell’umanesimo come corrente di pensiero. Solo verso la metà del nostro secolo esso è tornato ad essere argomento di dibattito tra gli studiosi delle questioni sociali e politiche. In modo molto sintetico, possiamo caratterizzare l’Umanesimo storico mettendo in evidenza quelli che sono i suoi aspetti fondamentali, e cioè:

  1. La reazione contro il modo di vivere ed i valori del Medioevo. Con l’Umanesimo inizia uno studio approfondito delle altre culture, in particolare di quella greco-romana, nelle loro espressioni artistiche, scientifiche e filosofiche.
  2. La nuova immagine dell’essere umano, del quale vengono esaltate la personalità e l’attività trasformatrice.
  3. Il nuovo atteggiamento nei riguardi della natura, che viene intesa come l’ambiente dell’uomo e non più come una sorta di mondo demoniaco pieno di tentazioni e castighi.
  4. L’interesse per la sperimentazione e la ricerca nel mondo che ci circonda e la tendenza a spiegarne i fenomeni con argomenti di ordine naturale, senza ricorrere al sovrannaturale. Questi quattro aspetti dell’Umanesimo storico convergono verso uno stesso obiettivo: far sorgere la fiducia nell’essere umano e nella sua creatività e far considerare il mondo come il regno dell’uomo, regno sul quale egli può esercitare il proprio dominio grazie al sapere scientifico. In questa nuova prospettiva, la necessità di costruire una nuova visione dell’universo e della storia appare inderogabile. Parallelamente, le nuove concezioni del movimento umanista portano necessariamente alla ridiscussione della questione religiosa, tanto nelle sue strutture dogmatiche e liturgiche quanto in quelle organizzative che informano le strutture sociali del Medioevo. L’Umanesimo, in sintonia con la trasformazione delle forze economiche e sociali dell’epoca, diventa una forza rivoluzionaria di volta in volta più cosciente che tende sempre di più a mettere in discussione l’ordine stabilito. Ma la Riforma, nel mondo germanico ed anglosassone e la Controriforma, in quello latino, cercano di frenare le nuove idee, riproponendo in modo autoritario la visione cristiana tradizionale. La crisi che investe la Chiesa passa poi alle strutture statali. Alla fine, l’impero e la monarchia per diritto divino vengono eliminati grazie alle rivoluzioni che hanno luogo verso la fine del secolo diciottesimo ed in quello successivo. Ma, dopo la Rivoluzione Francese e le guerre d’indipendenza americane, l’Umanesimo scompare, anche se nella società continua ad esistere un retroterra di ideali ed aspirazioni ad esso legati che incoraggia trasformazioni economiche, politiche e scientifiche. L’Umanesimo è stato eclissato da concezioni e modelli di comportamento che sono riusciti ad imporsi a livello sociale e che hanno trovato la loro espressione ultima nel colonialismo, nella Seconda Guerra Mondiale e nell’assetto bipolare del pianeta. E’ nella situazione venutasi a creare dopo questi eventi che si riapre il dibattito sul significato dell’essere umano e della natura, sulla ragion d’essere delle strutture economiche e politiche, sull’orientamento della Scienza e della tecnologia e, in generale, sulla direzione degli avvenimenti storici. Sono i “filosofi dell’Esistenza” a lanciare i primi segnali: Heidegger squalifica l’Umanesimo riducendolo ad una metafisica tra le tante (nella sua Lettera sull’Umanesimo); Sartre lo difende (nella sua conferenza L’esistenzialismo è un umanesimo); Luypen ne precisa il contesto teorico (in La fenomenologia è un umanesimo). Su un altro fronte, ecco Althusser prendere posizione in senso antiumanista (in Pour Marx1) e Maritain appropriarsi dell’umanesimo, che del cristianesimo era stato l’antitesi (nel suo Umanesimo Integrale). A tutti questi autori va riconosciuto il merito di aver messo in atto degli sforzi degni di attenzione. Al giorno d’oggi l’Umanesimo, dopo aver percorso un cammino tanto lungo e dopo le ultime discussioni filosofiche, deve necessariamente definire la propria posizione non solo in termini di concezione teorica ma anche in termini di prassi in campo sociale. Per quanto riguarda questi aspetti, ci riferiremo costantemente al recente documento di fondazione del Movimento Umanista. Lo stato della questione umanista deve oggi essere formulato a partire dalle condizioni in cui l’essere umano vive. Tali condizioni non sono astratte. Di conseguenza, non è legittimo far discendere l’Umanesimo da una teoria sulla Natura o da una teoria sulla Storia o dalla fede in un Dio. La condizione umana è tale che un incontro privo di mediazioni con il dolore e con la necessità di superare il dolore risulta ineludibile. Si tratta di una condizione che è comune a tante altre specie ma che in quella umana presenta un bisogno addizionale, quello di prefigurare i modi futuri per vincere il dolore e raggiungere il piacere. La capacità di previsione della specie umana poggia sull’esperienza passata e sull’intenzione di migliorare la situazione presente. Il lavoro umano, che si accumula nelle diverse produzioni sociali e passa trasformandosi di generazione in generazione, è il risultato di una lotta incessante per superare le condizioni naturali e sociali in cui l’essere umano vive. E’ per questo che l’Umanesimo definisce l’essere umano come un essere storico che trasforma il mondo e la sua stessa natura attraverso l’attività sociale. Questo punto è di importanza capitale perché, se lo si accetta, non si potrà poi coerentemente sostenere l’esistenza di un diritto naturale o di una proprietà naturale o di istituzioni naturali oppure che, in definitiva, l’essere umano futuro sarà tale e quale quello attuale, come se esso fosse compiuto una volta per tutte. Il vecchio tema del rapporto tra uomo e natura acquista di nuovo importanza. Riprendendolo in esame, scopriamo questo grande paradosso: da un lato l’essere umano ci appare privo di fissità, privo di natura, dall’altro riconosciamo in lui un aspetto costante: la storicità. E’ per questo che, forzando i termini, si può arrivare a dire che la natura dell’uomo sia la sua storia, la sua storia sociale. Di conseguenza, ogni essere umano che viene al mondo non è, come avviene nelle altre specie, una sorta di primo esemplare equipaggiato geneticamente di tutto ciò che gli servirà per rispondere all’ambiente, bensì un essere storico che sviluppa la propria esperienza personale in un paesaggio sociale in un paesaggio umano. Ma ecco che in questo mondo sociale l’intenzione collettiva di vincere il dolore viene negata dall’intenzione di altri esseri umani. Con ciò intendiamo dire che alcuni esseri umani ne “naturalizzano” altri negandone le intenzioni e che in questo modo li trasformano in oggetti d’uso. Dunque, mentre la tragedia che deriva dall’essere sottoposti a condizioni fisiche naturali spinge il lavoro sociale e la scienza verso nuove realizzazioni che oltrepassino tali condizioni, la tragedia che deriva dall’essere sottoposti a condizioni sociali di disuguaglianza e di ingiustizia spinge l’essere umano a ribellarsi ad una situazione in cui riconosce non il gioco di forze cieche ma quello di intenzioni umane. Tali intenzioni, che discriminano altri esseri umani, operano in un campo ben diverso da quello della natura e delle sue tragedie, in cui non esiste alcuna intenzione. Non a caso in ogni forma di discriminazione è sempre presente uno sforzo mostruoso teso a dimostrare come le differenze tra gli esseri umani siano dovute alla natura, fisica o sociale, cioè ad un gioco di forze prive di intenzione. Si cercherà di giustificare le differenze razziali, sessuali od economiche già stabilite facendo appello a leggi genetiche o di mercato; in ogni caso, però, si dovrà ricorrere alla distorsione, alla falsità e alla malafede. Le due idee fondamentali esposte in precedenza - la prima relativa alla condizione umana, che per noi è caratterizzata dal dolore e dalla spinta a superarlo e la seconda che si riferisce alla definizione di essere umano, che per noi è un essere storico e sociale - secondo gli umanisti di oggi sintetizzano lo stato della questione dell’umanesimo. Sugli aspetti particolari di questi due temi rimando al mio saggio Discussioni storiologiche, contenuto in Contributi al pensiero. Nel Documento di fondazione del Movimento Umanista si dichiara che si potrà passare dalla preistoria ad una storia pienamente umana solo quando cesseranno le azioni violente ed animalesche di appropriazione che alcuni esseri umani compiono nei confronti di altri esseri umani. Fino a quando ciò non succederà, non sarà possibile partire da alcun altro valore centrale che non sia l’essere umano completo, con le sue realizzazioni e la sua libertà. La frase: “Niente al di sopra dell’essere umano e nessun essere umano al di sotto di un altro”, sintetizza questa idea. Collocare Dio, lo Stato, il Denaro o qualsiasi altra entità come valore centrale, significa relegare l’essere umano in una posizione subordinata e creare così le condizioni per meglio controllarlo o magari per sacrificarlo. Come umanisti abbiamo ben chiaro questo punto. Noi umanisti possiamo essere atei o credenti ma non partiamo dall’ateismo o dalla fede per dare fondamento alla nostra visione del mondo e alle nostre azioni; partiamo dall’essere umano e dai suoi bisogni più immediati. Noi umanisti affermiamo che il problema fondamentale è: sapere se vogliamo vivere e in quali condizioni vogliamo farlo. Qualsiasi forma di violenza - fisica, economica, razziale, religiosa, sessuale, ideologica - attraverso cui il progresso umano è stato bloccato, ripugna agli umanisti. Qualsiasi forma di discriminazione - manifesta o larvata - costituisce per gli umanisti un motivo di denuncia. Risulta così tracciata la linea di demarcazione tra l’Umanesimo e l’Anti-umanesimo. L’Umanesimo pone al primo posto il lavoro rispetto al grande capitale; la Democrazia reale rispetto alla Democrazia formale; il decentramento rispetto al centralismo; la non discriminazione rispetto alla discriminazione; la libertà rispetto all’oppressione; il senso della vita rispetto alla rassegnazione, al conformismo ed all’idea che tutto sia assurdo. Poiché si basa sulla libertà di scelta, l’Umanesimo possiede l’unica etica valida. Allo stesso modo, poiché crede de nelle intenzioni e nella libertà distingue tra errore e malafede. Queste sono le nostre posizioni. Noi umanisti, d’altra parte, non riteniamo di essere usciti dal nulla ma ci sentiamo tributari di un lungo processo e di uno sforzo collettivo. Ci sentiamo impegnati nei problemi del mondo d’oggi e siamo coscienti della necessità di una lunga lotta in futuro. Siamo favorevoli alla diversità, in netta opposizione all’irregimentazione che finora è stata imposta con la giustificazione che il diverso crea dialettica tra gli elementi di un sistema e che pertanto rispettare tutte le specificità significa dare via libera a forze centrifughe e disintegratrici. Come umanisti pensiamo il contrario, anzi sottolineiamo il fatto che, proprio in questo momento storico, l’appiattimento della diversità porta le strutture rigide all’esplosione. Per questo poniamo l’accento sulla convergenza degli orientamenti e delle intenzioni e ci opponiamo, tanto sul piano teorico che pratico, all’eliminazione della diversità spacciata come condizione del sorgere di dialettiche all’interno di un insieme dato. Nel Documento, noi umanisti ritroviamo le nostre radici nell’Umanesimo storico e ci ispiriamo agli apporti delle varie culture umane e non soltanto di quelle che in questo momento occupano una posizione centrale; pensiamo all’avvenire mentre lottiamo per superare la crisi generale del presente; siamo ottimisti: crediamo nella libertà e nel progresso sociale. Noi umanisti siamo internazionalisti, aspiriamo ad una nazione umana universale. Abbiamo una visione globale del mondo in cui viviamo, ma agiamo nel nostro ambiente. Non desideriamo un mondo uniforme bensì multiforme: multiforme per etnie, lingue e costumi; multiforme per paesi, regioni, località; multiforme per idee ed aspirazioni; multiforme per credenze, dove abbiano posto l’ateismo e la religiosità; multiforme nel lavoro; multiforme nella creatività. Noi Umanisti non vogliamo padroni; non vogliamo dirigenti né capi e non ci sentiamo dirigenti, capi o rappresentanti di alcuno; non vogliamo uno Stato centralizzato, né uno Stato Parallelo che lo sostituisca: non vogliamo eserciti polizieschi, né bande armate che ne prendano il posto. L’Umanesimo entra direttamente nella discussione sulle condizioni economiche. E sostiene che nel momento attuale il problema-chiave non è quello di chiarire sempre più in dettaglio i diversi aspetti delle economie feudali, delle industrie nazionali o dei gruppi regionali; questi sono solo dei sopravvissuti al passo della Storia, che oggi, per assicurarsi la propria quota di profitto, devono piegarsi ai dettami del capitale finanziario internazionale, un capitale speculativo il cui processo di concentrazione su scala mondiale si fa sempre più spinto. In una situazione come questa, persino lo Stato nazionale, per sopravvivere, ha bisogno di crediti e prestiti. Tutti mendicano gli investimenti e, per averli, forniscono alla banca la garanzia che sarà essa ad avere l’ultima parola sulle decisioni fondamentali. Sta arrivando il momento in cui anche le aziende, proprio come le città e le campagne, diventeranno proprietà indiscussa della banca; sta arrivando il momento dello Stato Parallelo, un tempo, questo, in cui il vecchio ordine dovrà essere azzerato. Di pari passo svaniscono le vecchie forme di solidarietà; siamo di fronte alla disintegrazione del tessuto sociale ed all’apparire sulla scena di milioni di esseri umani indifferenti gli uni agli altri e senza legami tra loro, nonostante la miseria che li accomuna. Il grande capitale non solo domina l’oggettività grazie al controllo dei mezzi di produzione, ma domina anche la soggettività grazie al controllo dei mezzi di comunicazione e di informazione. In queste condizioni esso può disporre a piacere delle risorse materiali e sociali, riducendo la natura in uno stato di deterioramento irreversibile e tenendo sempre meno conto dell’essere umano. Il grande capitale possiede i mezzi tecnologici per fare tutto questo. E proprio come ha svuotato le aziende e gli Stati, è riuscito a svuotare di significato anche la Scienza, trasformandola in tecnologia che genera miseria, distruzione e disoccupazione. Non c’è bisogno di grandi discorsi per mettere in evidenza il fatto che oggi esistono le possibilità tecnologiche per risolvere, a breve termine e per vaste zone del mondo, i problemi della piena occupazione, dell’alimentazione, della salute, della casa, dell’istruzione. Se queste possibilità non si tramutano in realtà è semplicemente perché la speculazione mostruosa del grande capitale lo impedisce. Nei paesi avanzati, il grande capitale ha ormai superato lo stadio dell’economia di mercato e cerca, parallelamente alla riconversione tecnologica, di disciplinare la società per far fronte al caos che esso stesso ha generato. La disoccupazione crescente, la recessione e lo stravolgimento del quadro politico ed istituzionale segnano l’inizio di un’altra epoca, nella quale i dirigenti ed i quadri intermedi dovranno essere rinnovati ed adattati ai nuovi tempi. Questi cambiamenti di schema non sono altro che un passo in più verso la crisi generale del Sistema che marcia verso la mondializzazione. A contrastare questa situazione di irrazionalità non si levano - come imporrebbe una visione dialettica - le voci della ragione; sorgono, invece, i più oscuri razzismi, integralismi e fanatismi. E se il neo-irrazionalismo prenderà il sopravvento in intere regioni e collettività, il margine d’azione delle forze progressiste finirà per ridursi sempre di più. D’altra parte, però, milioni di lavoratori hanno ormai preso coscienza sia dell’assurdità del centralismo statale che della falsità della democrazia capitalista. E’ per questo che gli operai si ribellano contro i vertici corrotti dei sindacati e che interi popoli mettono in discussione i loro partiti ed i loro governi. Ma è necessario dare orientamento a fenomeni come questi che tendono ad esaurirsi in uno sterile spontaneismo: è necessario discutere il tema fondamentale dei fattori della produzione. Per l’Umanesimo, i fattori della produzione sono il lavoro ed il capitale, mentre inessenziali e superflue sono la speculazione e l’usura. Nell’attuale situazione bisogna lottare per trasformare radicalmente l’assurdo rapporto che si è instaurato tra questi due fattori. Fino ad oggi è stata imposta questa regola: il profitto al capitale ed il salario al lavoratore. Ed una tale ripartizione è stata giustificata con l’argomento del “rischio” che l’investimento comporta; come se il lavoratore non mettesse a rischio il suo presente ed il suo futuro nei flussi e riflussi della disoccupazione e della crisi. Ma c’è un altro elemento in gioco ed è il potere di decisione e di gestione dell’azienda. Il profitto non destinato ad essere reinvestito nell’azienda, non diretto alla sua espansione o diversificazione, prende la via della speculazione finanziaria. E la stessa via della speculazione finanziaria la prende il profitto che non crea nuovi posti di lavoro. Di conseguenza la lotta dei lavoratori deve obbligare il capitale a raggiungere la sua massima resa produttiva. Ma questo non potrà diventare realtà senza una compartecipazione nella gestione e nella direzione dell’azienda. Altrimenti come si potranno evitare i licenziamenti in massa, la chiusura e lo svuotamento delle aziende? Il vero problema sta infatti nell’insufficienza degli investimenti, nel fallimento fraudolento delle aziende, nella catena dell’indebitamento, nella fuga dei capitali. Se poi qualcuno insistesse ancora sulla base di insegnamenti ottocenteschi, sull’idea della confisca dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori, quel qualcuno dovrebbe tenere presente il recente fallimento del Socialismo reale. A chi poi obietta che regolamentare il capitale così com’è regolamentato il lavoro comporta la fuga del capitale stesso verso luoghi ed aree più redditizi, si deve spiegare che una tal cosa non potrà succedere ancora per molto, giacché l’irrazionalità dell’attuale modello economico tende a produrre una saturazione ed ad innescare una crisi mondiale. Quest’obiezione, poi; non solo fa esplicito riconoscimento di una radicale immoralità ma ignora il processo storico dello spostamento del capitale verso la banca, il quale ha come conseguenza il fatto che lo stesso imprenditore finisce per diventare un impiegato senza capacità decisionale, l’anello di una catena all’interno della quale la sua autonomia è solo apparente. In ogni caso saranno gli stessi imprenditori che, con l’acuirsi del processo recessivo, finiranno per prendere in seria considerazione questi argomenti. Gli umanisti sentono la necessità di agire non solo nel campo del lavoro o sindacale ma anche in quello politico, per impedire che lo Stato sia uno strumento del capitale finanziario mondiale, per stabilire un equo rapporto tra i fattori di produzione e per restituire alla società l’autonomia che le è stata sottratta. Nel campo politico, la situazione mostra come l’edificio della Democrazia si sia gravemente deteriorato per l’incrinarsi dei pilastri sui quali poggiava: l’indipendenza dei poteri, la rappresentatività ed il rispetto delle minoranze. La teorica indipendenza dei poteri è solo un assurdo: nella pratica risulta seriamente compromessa. Ed in effetti, basta svolgere una semplice ricerca sull’origine e sulle articolazioni di ciascun potere in alcune aree del mondo per rendersi conto degli intimi rapporti che lo legano agli altri: e non potrebbe essere altrimenti, visto che fanno tutti parte di uno stesso sistema. Quindi, le frequenti crisi dovute al predominio di un potere sull’altro, al sovrapporsi delle funzioni, alla corruzione ed alle irregolarità, sono il riflesso della situazione economica e politica globale di un dato paese. Per quanto riguarda la rappresentatività, c’è da dire che all’epoca in cui fu introdotto il suffragio universale si pensava che ci fosse un solo atto, per così dire, tra l’elezione dei rappresentanti del popolo e la conclusione del loro mandato. Ma con il passare del tempo si è visto chiaramente che oltre a questo primo atto con il quale i molti scelgono i pochi, ne esiste un secondo con il quale questi pochi tradiscono i molti, facendosi portatori di interessi estranei al mandato ricevuto. E questo male si trova ormai in incubazione nei partiti politici che sono ridotti a dei puri vertici separati dalle necessità del popolo: ormai, all’interno della macchina dei partiti, i grandi interessi finanziano i candidati e dettano la politica che questi dovranno portare avanti. Tutto ciò evidenzia una profonda crisi nel concetto e nell’espressione pratica della rappresentatività. Gli umanisti lottano per trasformare la pratica della rappresentatività dando la massima importanza alle consultazioni popolari, ai referendum, all’elezione diretta dei candidati. Non dimentichiamoci che in numerosi paesi ancora oggi esistono leggi che subordinano i candidati indipendenti ai partiti politici; che esistono ancora requisiti di reddito e sotterfugi vari che limitano la possibilità di presentarsi davanti alla volontà popolare. Qualsiasi legge che limiti la piena capacità del cittadino di eleggere e di essere eletto è una beffa nei confronti del fondamento stesso della Democrazia reale, che è al di sopra di ogni regolamentazione giuridica. E se si vorrà dare attuazione al principio delle pari opportunità, i mezzi di comunicazione di massa dovranno mettersi al servizio della popolazione nel periodo elettorale, durante il quale i candidati pubblicizzano le loro proposte, dando a tutti esattamente le stesse opportunità. Dovranno inoltre essere emanate leggi sulla responsabilità politica, in base alle quali quanti non abbiano mantenuto le promesse fatte agli elettori rischieranno l’interdizione, la destituzione od il giudizio politico. Questo perché il rimedio alternativo attualmente in vigore (gli individui ed i partiti inadempienti saranno penalizzati dal voto nelle elezioni successive) non pone affatto termine a quel secondo atto con cui si tradiscono i rappresentati. Per quanto riguarda poi la consultazione diretta su temi che presentano carattere d’urgenza, le possibilità tecnologiche di metterla in pratica crescono di giorno in giorno. Non si tratta di dare priorità a sondaggi o ad inchieste manipolate, si tratta invece di facilitare la partecipazione ed il voto diretto attraverso mezzi elettronici ed informatici avanzati. In una Democrazia reale, alle minoranze deve essere data la garanzia di una rappresentatività adeguata ma, oltre a questo, si devono prendere tutte le misure che ne favoriscano nella pratica l’inserimento e lo sviluppo. Oggi le minoranze assediate dalla xenofobia e dalla discriminazione chiedono disperatamente di essere riconosciute e, in questo senso, è responsabilità degli umanisti elevare questo tema a livello di discussione prioritaria, capeggiando ovunque la lotta contro i neofascismi, palesi o mascherati che siano. In definitiva, lottare per i diritti delle minoranze significa lottare per i diritti di tutti gli esseri umani. Ma anche all’interno di un paese esistono intere province, regioni od autonomie che subiscono una discriminazione analoga a quella delle minoranze come conseguenza delle spinte centralizzatrici dello Stato, che è oggi solo uno strumento insensibile nelle mani del grande capitale. Questa situazione avrà termine quando si darà impulso ad un’organizzazione federativa grazie alla quale il potere politico reale tornerà nelle mani di tali soggetti storico-culturali. In definitiva, porre al centro dell’attenzione il tema del capitale e del lavoro, il tema della Democrazia reale e l’obiettivo del decentramento dell’apparato statale significa indirizzare la lotta politica verso la creazione di un nuovo tipo di società: una società flessibile ed in costante cambiamento, in sintonia con le necessità dinamiche dei popoli che oggi sono soffocati dalla dipendenza. Nella situazione attuale dominata dalla confusione è necessario discutere il tema dell’Umanesimo spontaneo o ingenuo, mettendolo in rapporto con ciò che per noi è l’Umanesimo cosciente. Il vigore, sconosciuto fino a pochi anni fa, con cui gli ideali e le aspirazioni umaniste si manifestano nelle nostre società, appare ormai evidente: il mondo sta cambiando a grande velocità e questo cambiamento, oltre a spazzare via le vecchie strutture ed i vecchi riferimenti, sta liquidando le forme di lotta tradizionali. In una situazione come questa appaiono spontaneismi di ogni genere, che somigliano più alle catarsi o ai tumulti sociali che a dei processi dotati di una direzione precisa. Pertanto, se attribuiamo a gruppi, associazioni e singoli individui progressisti la definizione di umanisti, quand’anche non facciano espressamente parte del Movimento Umanista, è perché puntiamo ad unire le forze e non a costruire un nuovo egemonismo che perpetuerebbe punti di vista e procedimenti omologanti. Crediamo che sia nei luoghi di lavoro ed in quelli di residenza dei lavoratori che la semplice protesta debba trasformarsi in una forza cosciente, che abbia come obiettivo la trasformazione delle strutture economiche; dicendo questo non dimentichiamo certo le numerose attività in cui sono coinvolti i membri più combattivi delle organizzazioni sindacali e politiche. Ma noi non proponiamo ad alcuno di abbandonare il proprio collettivo per partecipare alle attività del Movimento Umanista: al contrario. La lotta degli elementi progressisti appartenenti a tali organizzazioni, visto che è diretta a trasformarne i vertici, va ben oltre le rivendicazioni di corto respiro e spinge tali elementi a convergere sulle posizioni umaniste. In larghi strati di docenti e studenti, normalmente sensibili alle ingiustizie, la volontà di cambiamento diventerà cosciente a misura che la crisi generale del Sistema tenderà a gravare anche su di essi. E certo già oggi il settore della Stampa, che è a diretto contatto con la tragedia di ogni giorno, è in condizioni di prendere un indirizzo umanista: lo stesso vale per quei settori intellettuali le cui opere sono in netta opposizione con i modelli sostenuti da questo sistema inumano. Di fronte alla sofferenza umana, numerose organizzazioni lanciano l’invito all’azione disinteressata a favore degli emarginati o dei discriminati; così, in determinate occasioni, associazioni, gruppi di volontariato, consistenti fasce della popolazione si mobilitano e cercano di dare un contributo positivo. Senza dubbio, proprio il fatto di denunciare problemi di questo tipo costituisce di per se un contributo. Ma tali gruppi non impostano la loro azione nel quadro di una trasformazione delle strutture che danno origine ai mali che denunciano. Un tale atteggiamento rientra più nel campo dell’Umanitarismo che in quello dell’Umanesimo cosciente. Comunque le denunce e le azioni concrete sono degne di essere approfondite ed ampliate. Proprio come esiste un ampio ed esteso settore sociale che potremmo a ragione chiamare “campo umanista”, così esiste un settore, non meno esteso, che potremmo denominare “campo anti-umanista”. Oggi, sfortunatamente, mentre milioni di umanisti non sono ancora scesi in campo con determinazione per imporre il cambiamento sociale, si assiste all’apparizione di fenomeni regressivi che si consideravano ormai superati. A misura che le forze mobilitate dal grande capitale soffocano i popoli sorgono ideologie incoerenti che crescono sfruttando il malessere sociale, malessere che incanalano verso falsi colpevoli. Alla base di queste forme di neo-fascismo c’è una profonda negazione dei valori umani. Anche in certe correnti ecologiste devianti succede qualcosa di analogo, visto che privilegiano la natura rispetto all’uomo. Per esse, la tragedia degli attuali disastri ecologici non è sta nel fatto che essi mettono in pericolo l’intera umanità ma nel fatto che l’essere umano ha attentato contro la Natura. Secondo alcune di queste correnti, l’essere umano è un essere infetto che in quanto tale contamina la Natura. Per loro sarebbe stato meglio che la medicina non avesse avuto alcun successo nella lotta contro le malattie e per prolungare la vita. “Prima la terra!” urlano in modo isterico, richiamandoci alla memoria i proclami del nazismo. Da qui alla discriminazione delle culture che contaminano, degli stranieri che sporcano ed inquinano, il passo è breve. Anche queste correnti rientrano nel campo dell’Anti-umanesimo, visto che alla loro base c’è il disprezzo per l’essere umano. I loro mentori disprezzano se stessi ed in questo riflettono le tendenze nichiliste e suicide oggi di moda. Certo, uno strato considerevole di persone sensibili aderisce ai movimenti ecologisti perché si rende conto di quanto siano gravi i problemi che questi denunciano; ma se assumeranno, come sembra opportuno, un carattere umanista, i movimenti ecologisti indirizzeranno la loro lotta verso i responsabili della catastrofe: il grande capitale e la catena di industrie ed aziende distruttive, tutte strettamente imparentate con il complesso militare-industriale. Prima di preoccuparsi delle foche dovranno preoccuparsi della fame, del sovraffollamento, della mortalità infantile, delle malattie, della carenza di abitazioni e strutture sanitarie che affliggono tante parti della Terra. Dovranno dare l’opportuno risalto a problemi quali la disoccupazione, lo sfruttamento, il razzismo, la discriminazione e l’intolleranza nel mondo tecnologicamente avanzato: quello stesso mondo che, con la sua crescita irrazionale, sta creando gli squilibri ecologici. Non è necessario dilungarsi troppo sulle Destre intese come strumenti politici dell’Anti-umanesimo. La loro malafede raggiunge livelli tali che, continuamente, esse si spacciano per rappresentanti dell’“Umanesimo”. Proprio così: la loro malafede ed il banditismo che dimostrano nell’appropriarsi delle parole sono talmente enormi, che questi rappresentanti dell’Anti-umanesimo non hanno mancato di nascondersi dietro il nome di “umanisti”. Sarebbe impossibile fare un inventario completo dei trucchi, degli strumenti, dei modi e delle espressioni utilizzate dall’Anti-umanesimo. In ogni caso un’opera di chiarificazione delle tendenze anti-umaniste più nascoste permetterà a molti umanisti, per così dire ingenui o spontanei, di rivedere le proprie concezioni ed il significato della propria attività sociale. Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, il Movimento Umanista crea fronti d’azione nei luoghi di lavoro, in quelli di residenza, nel mondo sindacale, politico e culturale con l’intento di trasformarsi, poco a poco, in un movimento a carattere sociale. Portando avanti questa linea, esso crea le condizioni per integrare forze diverse, gruppi ed individui progressisti senza che questi perdano la loro identità e le loro caratteristiche particolari. L’obiettivo del Movimento Umanista è quello di promuovere l’unione tra forze che possano influire sempre di più su vasti settori della popolazione e di orientare con la sua azione la trasformazione sociale. Noi umanisti non siamo ingenui e non ci gonfiamo il petto con dichiarazioni di sapore romantico. In questo senso non crediamo che le nostre proposte siano l’espressione più avanzata della coscienza sociale né pensiamo che la nostra organizzazione sia qualcosa d’indiscutibile. Non ci fingiamo rappresentanti della maggioranza. In tutti i casi, agiamo in accordo con ciò che riteniamo più giusto e favoriamo le trasformazioni che crediamo possibili ed adatte all’epoca in cui ci è toccato vivere. Per concludere questo discorso, vorrei comunicarvi una mia preoccupazione personale. Non credo assolutamente che stiamo andando verso un mondo disumanizzato del tipo di quello presentatoci da certi autori di fantascienza, da certe correnti che predicano la salvazione o da certe tendenze pessimistiche. Credo, però, che ci troviamo esattamente nel punto, per altro presentatosi molte altre volte nel corso della storia umana, in cui è necessario scegliere fra due vie che conducono a due mondi opposti. Dobbiamo scegliere in che condizioni vogliamo vivere; e credo che, in questo momento pericoloso, l’umanità si appresti a fare la propria scelta. L’Umanesimo ha un ruolo importante da giocare a favore della scelta migliore. Nient’altro. Molte grazie.