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Lettere ai miei amici - 5

QUINTA LETTERA AI MIEI AMICI

Cari amici,

Tra la tanta gente che nutre preoccupazione per il corso attuale degli avvenimenti, mi capita spesso di incontrare vecchi militanti di partiti e organizzazioni progressiste. Molti non hanno ancora superato lo shock che la caduta del “socialismo reale” ha provocato loro. Sono centinaia di migliaia in tutto il mondo gli attivisti che hanno scelto di rifugiarsi nei propri impegni quotidiani, facendo comprendere con questo atteggiamento, che i loro vecchi ideali sono ormai lettera morta. Certo, quella che per essi è stata una catastrofe improvvisa, per me non ha rappresentato altro che un ulteriore passo – del resto atteso da due decenni - nel processo di disintegrazione delle strutture centralizzate. Ma non è davvero questo il momento di vantarsi, perché la dissoluzione di quella forma politica ha prodotto uno squilibrio tra le forze in campo che fa avanzare a passo spedito un sistema mostruoso per obiettivi e metodi. Un paio d’anni fa ho assistito ad una manifestazione politica: c’erano vecchi operai, madri lavoratrici con i loro bambini e piccoli gruppi di ragazzi che alzavano in alto il pugno intonando il loro inno. Si vedevano ancora bandiere ondeggiare al vento e si udiva l’eco di gloriosi slogan di lotta… Ma alla vista di quella scena, ho pensato che un tale intreccio di volontà, di rischio, di tragedia e di sforzo sostenuto da un impulso genuino, aveva imboccato un tunnel oscuro che l’avrebbe condotto a negare, in modo assurdo, qualsiasi possibilità di trasformazione. Avrei voluto accompagnare una scena così toccante con un inno agli ideali del vecchio militante, che senza pensare al successo, conserva inalterato l’orgoglio di chi combatte per una causa. Ma tutta la scena ha prodotto in me un profondo sentimento di ambiguità ed oggi, a distanza di tempo, mi chiedo che ne è di tanta brava gente che lottava, con spirito di solidarietà e ben al di là del proprio tornaconto immediato, per un mondo che credeva il migliore dei mondi. Non penso soltanto a quanti appartenevano a partiti politici di tipo più o meno istituzionale ma a quanti avevano scelto di porre la loro vita al servizio di una causa che avevano creduto giusta. E’ ovvio che non posso giudicarli sulla base dei loro errori né classificarli semplicemente come esponenti di una filosofia politica. Oggi è necessario recuperare il valore umano e ridare vita agli ideali proponendo una direzione che si dimostri percorribile. Riconsiderando quanto detto fin qui, mi sento in dovere di scusarmi con quanti non hanno condiviso quelle idee politiche né preso parte ad attività di quel tipo, e che pertanto si sentono estranei a tale genere di temi; tuttavia, anche a costoro chiedo di fare lo sforzo di dare la giusta importanza a questioni che riguardano i valori e gli ideali su cui si basano le azioni umane. Di questo tratta la lettera di oggi che, seppure in termini un po’ duri, è diretta a rimuovere il disfattismo che sembra essersi impossessato dello spirito militante.

1. La cosa più importante: sapere se si vuole vivere ed in quali condizioni si vuole farlo

Oggi milioni di persone lottano per sopravvivere e non sanno se domani potranno sconfiggere la fame, le malattie, l’emarginazione. La situazione di bisogno in cui versano è tale che qualsiasi cosa tentino per modificarla finisce per complicare ancora di più la loro vita. Resteranno inerti in attesa di un suicidio per ora semplicemente rinviato? Tenteranno gesti disperati? Che cosa faranno, quale rischio o quale speranza saranno disposti ad assumere? Che cosa faranno quanti, per ragioni economiche o sociali o semplicemente personali, si verranno a trovare in una situazione-limite? In ogni caso, il tema più importante sarà sapere se si vuole vivere ed in quali condizioni si vuole farlo.

2. La libertà umana come fonte di ogni significato

Anche quanti non si trovano in una situazione-limite mettono in discussione la propria condizione attuale formandosi un proprio progetto di vita per il futuro. E anche chi preferisce non pensare alla propria situazione o delega ad altri una tale responsabilità, adotta comunque un modello di vita. Pertanto, la libertà di scelta diventa realtà a partire dal momento in cui ci interroghiamo sul fatto di vivere e pensiamo alle condizioni in cui vorremmo farlo. Possiamo lottare o no per il futuro che desideriamo: in ogni caso c’è libertà di scelta. Ed è proprio questo aspetto della vita umana che permette di giustificare l’esistenza dei valori, della morale, dei diritti e dei doveri; ed è sempre esso che permette di rifiutare una qualunque forma politica, o organizzazione sociale, o stile di vita che si instauri senza dare adeguata giustificazione del proprio significato, senza rendere espliciti i benefici che può trarne l’essere umano reale di oggi. Qualsiasi morale o legge o costituzione sociale che parta da principi considerati superiori alla vita umana conferisce a questa il carattere di fenomeno semplicemente contingente e le nega il suo essenziale significato di libertà.

3. L’intenzione come forza che orienta l’azione

Nasciamo in una situazione che non abbiamo scelto. Non abbiamo scelto il nostro corpo né l’ambiente naturale né la società né il tempo né lo spazio che ci sono toccati in sorte per nostra fortuna o per nostra disgrazia. Quindi, a partire da un qualche momento della nostra vita, abbiamo cominciato a disporre della libertà di suicidarci o di continuare a vivere e pensare alle condizioni nelle quali vorremmo farlo. Possiamo ribellarci contro la tirannia, vincere o morire in tale impresa; possiamo lottare per una causa o favorire l’oppressione; possiamo accettare un certo modello di vita o cercare di modificarlo. Possiamo anche fare la scelta sbagliata. Possiamo credere che sia possibile adattarsi perfettamente a questa società accettandone tutto ciò che vi è di “stabilito”, per quanto perverso possa essere, nella convinzione che otterremo, grazie a questo, le migliori condizioni di vita; possiamo anche credere che mettendo tutto in discussione, senza distinguere tra ciò che è importante e ciò che è secondario, amplieremo il nostro campo di libertà, quando in realtà questo atteggiamento farà diminuire la nostra capacità di modificare le cose e crescere il nostro disadattamento. Possiamo, infine, dare priorità all’azione per ampliare il nostro campo di influenza prendendo una direzione che si dimostri percorribile e che dia significato alla nostra esistenza. In tutti i casi dovremo fare una scelta tra diverse condizioni e diverse necessità, e lo faremo in accordo con l’intenzione che ci guida e con il modello di vita che avremo adottato. E’ ovvio, comunque, che anche l’intenzione potrà mutare lungo un percorso tanto accidentato.

4. Che cosa faremo della nostra vita?

Non possiamo porci questa domanda in astratto ma in rapporto alla situazione in cui viviamo ed alle condizioni nelle quali vogliamo vivere. Siamo inseriti in una società, siamo in rapporto con altre persone per cui il nostro destino è necessariamente legato al loro. Se riteniamo che oggi le cose vadano bene e se il futuro personale e sociale che intravediamo ci sembra accettabile, non ci resta che proseguire nella direzione scelta, apportando al massimo delle piccole correzioni di rotta. Viceversa, se pensiamo che stiamo vivendo in una società violenta, discriminatoria ed ingiusta, ferita da crisi sempre più gravi innescate dal vertiginoso cambiamento che il mondo sta sperimentando, allora saremo subito portati a riflettere sulla necessità di profonde trasformazioni personali e sociali. La crisi globale ci condiziona e ci coinvolge; perdiamo i nostri consueti punti di riferimento e ci diventa sempre più difficile pianificare il nostro futuro. La cosa più grave è che non possiamo portare avanti azioni coerenti per cambiare le cose perché le forme di lotta tradizionali hanno fallito e la disintegrazione del tessuto sociale impedisce che grandi insiemi umani si mobilitino. Ci succede quanto succede a chiunque sia in grado di percepire le difficoltà attuali e si renda conto del continuo peggioramento della situazione: non possiamo né vogliamo intraprendere azioni destinate al fallimento ma, nello stesso tempo, non possiamo rimanere come stiamo. La cosa peggiore è che il nostro immobilismo lascia campo libero al manifestarsi di disuguaglianze ed ingiustizie ancora più profonde. Riappaiono con forza forme di discriminazione e di prevaricazione che credevamo scomparse per sempre. Se il disorientamento e la crisi sono così gravi, perché meravigliarsi se finiranno per diventare riferimenti sociali nuove mostruosità politiche i cui esponenti non esiteranno a dichiarare apertamente prima, e ad imporre poi, ciò che secondo loro si dovrà fare? La riapparizione di forme primitive in campo politico è oggi quanto mai possibile perché il loro è un discorso elementare che si diffonde con facilità ed arriva anche a quanti si trovano in una situazione-limite. Molte persone, indipendentemente dal loro livello d’informazione, sanno che la situazione è critica e che i termini da noi usati la descrivono abbastanza correttamente. Ciononostante, la scelta che si sta facendo sempre più spesso è quella di dedicarsi alla propria vita, disinteressandosi delle difficoltà degli altri e di quanto succede a livello sociale. Spesso condividiamo le obiezioni che vengono mosse al Sistema ma siamo ben lontani dal tentare di cambiarne le condizioni. Siamo consapevoli del fatto che l’attuale democrazia è solo formale e che risponde agli interessi dei blocchi economici. Eppure crediamo di salvare la coscienza partecipando a ridicole elezioni dove votiamo per i partiti di maggioranza subendo il ricatto di favorire la nascita di nuove dittature se non sosterremo il Sistema._ Non ci viene neanche in mente che votare ed invitare a votare per piccoli partiti può significare la creazione di un’alternativa per il futuro e che appoggiare la formazione di organizzazioni di lavoratori al di fuori del quadro stabilito può costituire un importante fattore di aggregazione. Rifiutiamo l’attività sociale nei quartieri popolari, nelle periferie degradate o in altre parti della città, oppure nel nostro ambiente personale perché tutto ciò ci sembra troppo “circoscritto”; eppure sappiamo che proprio da questi luoghi partirà la ricomposizione del tessuto sociale quando le strutture centralizzate entreranno in crisi. Preferiamo prestare attenzione al gioco di superficie dei vertici, dei notabili, degli opinionisti invece di tendere l’orecchio ad ascoltare i sotterranei reclami della gente. Protestiamo per l’attività massiccia dei grandi mezzi di comunicazione controllati dai grandi gruppi economici invece di cercare di influenzare i mezzi di comunicazione locali e qualsiasi altro ambito non controllato di comunicazione sociale. E se continuiamo a militare in una qualche organizzazione politica progressista, lo facciamo mettendoci alla ricerca di un qualche personaggio di successo, magari totalmente incoerente ma che abbia l’appoggio della stampa o di qualche “personalità” che rappresenti la nostra corrente e risulti più o meno accettabile ai mezzi d’informazione del Sistema. A ben vedere tutto questo ci succede perché ci sentiamo già sconfitti e crediamo che non ci resti altro da fare che rimuginare in silenzio sulle nostre amarezze.  _E questa sconfitta la chiamiamo “dedicarci alla nostra vita”. Nel contempo, le contraddizioni si accumulano nella “nostra vita” e finiamo per smarrire il senso e la capacità di scegliere le condizioni nelle quali vorremmo vivere. In definitiva, non riusciamo ancora a concepire la possibilità di un grande Movimento di trasformazione che diventi il punto di riferimento e di aggregazione per gli elementi più positivi della società e, chiaramente, lo sconforto ci impedisce di vedere noi stessi come i protagonisti di questo processo di cambiamento.

Gli interessi immediati e la coscienza morale

Dobbiamo scegliere le condizioni nelle quali vogliamo vivere. Se le nostre azioni prendono una direzione opposta a quella del nostro progetto di vita, la contraddizione che ne deriva ci esporrà ad una lunga catena di incidenti. Se seguiamo una tale direzione, quale freno potremo porre alle vicende della nostra vita? Solamente quello degli interessi immediati. Possiamo immaginare di trovarci in situazioni-limite diverse, ma se il nostro interesse primario è posto nel beneficio immediato, cercheremo sempre di uscirne sacrificando qualsiasi valore o significato. Per evitare difficoltà cercheremo di eludere qualunque tipo di impegno che ci avvicini alla situazione-limite; ma, nonostante questo, saranno gli avvenimenti stessi che ci costringeranno ad assumere posizioni da noi non scelte. Non c’è bisogno di uno spirito sottile per immaginare che piega prenderanno i rapporti con le persone a noi più vicine se anch’esse adotterano un simile modo di fare. Perché non dovrebbero arrivare al punto di agire contro di noi, se sono ugualmente mosse da interessi immediati? Perché tutta una società non dovrebbe seguire questa stessa linea di comportamento? Certo, se ciò accadesse, non vi sarebbe più alcun limite all’arbitrarietà e si affermerebbe un potere privo di ogni legittimazione. E si affermerebbe ricorrendo apertamente alla violenza nel caso dovesse incontrare resistenza; altrimenti seguirebbe una via più subdola, inducendoci ad adottare valori insostenibili per giustificare le nostre azioni; e noi non potremmo che sperimentare nel profondo del nostro cuore tutto il non-senso della vita. Allora davvero la disumanizzazione della Terra celebrerebbe il suo trionfo. Scegliere un progetto di vita a partire da condizioni imposte è ben lungi dall’essere un semplice riflesso animale. Al contrario, è la caratteristica essenziale dell’essere umano. Se dall’essere umano eliminiamo la caratteristica che lo definisce come tale, fermeremo la sua storia e non potremo attenderci altro che l’avanzare, passo dopo passo, della distruzione e del Nulla. Se si rinuncia al diritto di scegliere un progetto di vita ed un ideale di società, ci troveremo di fronte soltanto a caricature del Diritto, dei valori e del senso. Se la situazione è questa, a cosa potremo appellarci per resistere alla nevrosi ed al disordine che già ci circondano? A ciascuno di noi spetta di decidere cosa fare della propria vita, ma ciascuno di noi deve tener presente che le proprie azioni vanno al di là di se stesso, e questo indipendentemente dalla maggiore o minore capacità di influire sugli altri. In tutte le situazioni nelle quali è in gioco la direzione della nostra vita, non potremo mai eludere la scelta tra azioni unitive, azioni cioè che hanno un senso, ed azioni contraddittorie dettate dagli interessi immediati.

6. Il sacrificio degli obiettivi in cambio del successo. Alcuni errori abituali

Chiunque sia impegnato in attività collettive, chiunque lavori con altri per raggiungere obiettivi sociali significativi, deve avere ben chiari i molti errori che nel passato hanno causato danni irreparabili anche alle cause migliori. Machiavellismi ridicoli, personalismi anteposti ai compiti proclamati congiuntamente e tutte le possibili forme di autoritarismo riempiono i libri di Storia e la nostra memoria personale. Con quale diritto una dottrina, un insieme di idee, un’organizzazione umana, vengono strumentalizzate cambiando l’ordine delle priorità da esse assunte? Con quale diritto proponiamo ad altri un obiettivo ed un destino se poi assumiamo come valore principale un successo od una necessità congiunturale del tutto ipotetici? Se agiremo in questo modo, che cosa ci distinguerà dai seguaci di quel pragmatismo che diciamo di ripudiare? Ci sarà forse coerenza fra ciò che pensiamo, sentiamo e facciamo? In qualunque epoca quanti hanno strumentalizzato gli altri hanno sempre fatto ricorso alla seguente truffa morale: presentare agli altri l’immagine di un futuro più lontano capace di spingerli ad agire e riservare per sé l’immagine di un successo personale in un futuro prossimo. Se si sacrifica il progetto concordato con gli altri si apre la porta a qualunque tradimento, a qualunque baratto con la parte che si diceva di combattere. Ed una tale mascalzonata verrà poi giustificata ricorrendo ad una ipotetica “necessità” che era stata tenuta nascosta nella pianificazione iniziale. E’ chiaro che qui non stiamo parlando di cambiamenti di tattica o di condizione necessari, per comune consenso, a raggiungere l’obiettivo prefissato. Né ci stiamo riferendo agli errori di valutazione che si possono commettere quando si mette in pratica un progetto. Stiamo parlando di quell’atteggiamento immorale che deforma le intenzioni e dal quale è imprescindibile guardarsi. E’ importante fare molta attenzione e rendere chiaro a chiunque che se viene meno agli impegni concordati, la libertà d’azione vale tanto per lui quanto per noi. I modi di strumentalizzare la gente sono talmente tanti che non è possibile farne un elenco completo. Tantomeno è il caso di trasformarsi in “censori morali” perché sappiamo bene che questo ruolo denota un atteggiamento repressivo il cui obiettivo è di sabotare qualsiasi azione che non sia sotto il controllo del soggetto in questione; questo atteggiamento, poi, finisce con l’immobilizzare, per la diffidenza reciproca che crea, quanti sono impegnati in una battaglia comune. Quando si fanno entrare surrettiziamente da altri campi dei “valori” che vengono utilizzati per giudicare le nostre azioni, è opportuno ricordare a chi fa questo che è tale “morale” ad essere in discussione e che tale “morale” non coincide con la nostra…. persone come queste, come potrebbero stare in mezzo a noi? Per ultimo, è importante fare attenzione al subdolo gradualismo utilizzato per modificare, allontanandoli, gli obiettivi originari. Questo è il comportamento di chi si affianca a noi per motivi diversi da quelli che dichiara. La sua direzione mentale è torta sin dall’inizio e attende soltanto l’occasione propizia per manifestarsi. Ma prima di questo, costui farà ricorso sempre più spesso a codici più o meno espliciti di un doppio linguaggio. Questo atteggiamento è in genere tipico di chi, in nome dell’organizzazione militante, crea confusione nelle persone in buona fede facendo ricadere la responsabilità delle proprie mascalzonate sulla testa della gente più genuina. Non è il caso di continuare a dare risalto a quelli che da molto tempo sono conosciuti come i “problemi interni” di ogni organizzazione umana; però mi è sembrato opportuno far presente come alla radice di tutto questo vi sia un atteggiamento opportunista che consiste nel presentare agli altri l’immagine di un futuro più lontano capace di spingerli ad agire e nel riservare per sé l’immagine di un successo personale in un futuro prossimo.

7. Il Regno del Secondario

In una situazione come quella attuale è comune che gente di ogni risma assuma toni da inquisitore ed esiga spiegazioni dagli altri dando per scontato che siano gli altri a dover dimostrare la propria innocenza. E’ interessante notare che la tattica di questa gente consiste nel porre l’accento su questioni secondarie occultando così quelle primarie. In qualche modo, questo comportamento ricorda il funzionamento della democrazia nelle aziende. In effetti, gli impiegati di una ditta possono discutere - e questo va bene - se in un ufficio le scrivanie debbano stare vicino o lontano dalle finestre, se vi si debbano collocare dei vasi da fiori, se si debba utilizzare un colore gradevole per le pareti, ecc. Poi votano e, a maggioranza, viene decisa la disposizione dei mobili ed il resto dell’arredamento. Certo, anche questo non è affatto negativo. Però se qualcuno propone di discutere e votare sulla direzione e la strategia dell’impresa, si produce un silenzio terrificante… all’improvviso la democrazia è rimasta congelata e questo perché ci troviamo in realtà nel Regno del Secondario. Lo stesso succede nel caso degli “inquisitori” che difendono il Sistema. Ecco che un giornalista assume questo ruolo nei nostri confronti trasformando in sospetto la nostra predilezione per certe pietanze o pretendendo il nostro “impegno” su questioni di sport, di astrologia o di catechismo. Naturalmente, non manca mai qualche rozza accusa alla quale, si suppone, dobbiamo dare una risposta; si fa anche ampio ricorso al montaggio di falsi scenari, ad espressioni ambigue e alla manipolazione di immagini contraddittorie. E’ bene ricordare a quanti si collocano in uno schieramento contrario al nostro che spetta loro di diritto una nostra spiegazione sul perché non sono in condizioni di sottoporci a giudizio e sul perché noi siamo pienamente giustificati a farlo nei loro confronti. In ogni caso, sono loro a dover difendere la propria posizione dalle nostre obiezioni. Ovviamente, una tal cosa potrà darsi solo in particolari circostanze e in questo risulterà determinante l’abilità personale dei contendenti; ad ogni modo, non cesseremo di indignarci al vedere come alcuni che avrebbero pieno diritto a prendere l’iniziativa abbassino la testa di fronte ad argomenti tanto inconsistenti. Ed è anche patetico ascoltare in televisione certi leader pronunciare paroline speciali, vederli ballare come orsi con la conduttrice del programma o sottomettersi a tutte le possibili umiliazioni pur di apparire in primo piano. Avendo cercato di seguire degli esempi tanto straordinari, molta gente di buona volontà non riesce a comprendere come il proprio messaggio sia stato modificato e deformato al momento di farlo giungere ad un pubblico più vasto attraverso certi mezzi di comunicazione di massa. Quanto detto mette in evidenza una caratteristica del Regno del Secondario: quella di creare disinformazione nel pubblico, a cui si pretendeva di chiarire le idee, ricorrendo alla rimozione dei temi principali. E’ curioso constatare quante persone di idee progressiste cadano in questa trappola non comprendendo come la pubblicità apparentemente data al loro messaggio finisca per produrre l’effetto contrario. Infine, c’è da dire che non è il caso di lasciare al campo avverso posizioni che tocca a noi difendere. Chiunque può arrivare a ridurre le nostre proposte a semplici banalità affermando, per esempio, che anche lui è un “umanista” perché si preoccupa dell’umano; che è “non violento” perché è contro la guerra; che è “contro la discriminazione” perché anche lui ha un amico negro o comunista; che è “ecologista”, perché ritiene importante occuparsi delle foche e tenere puliti gli spazi pubblici. Ma, se approfondiamo il discorso, costui non sarà in grado di giustificare in modo fondato nulla di ciò che dice, mostrando così il suo vero volto di anti-umanista, di violento, di discriminatore e di predatore della natura. Quanto detto riguardo ad alcuni aspetti del Regno del Secondario non apporta nulla di nuovo; a volte, però, vale la pena di mettere sull’avviso quei militanti distratti che, nel tentativo di comunicare le proprie idee, finiscono in un terreno tanto insidioso senza rendersene conto. Spero che sappiate contenere il disagio provocatovi dalla lettura di una lettera che non corrisponde ai vostri interessi ed ai vostri problemi. Confido che nella prossima potremo riprendere la discussione sui nostri temi che sono di sicuro più piacevoli. Ricevete, con questa lettera, un caloroso saluto.

4 Giugno 1992

Lettere ai miei amici - 6