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Lettere ai miei amici - 2

SECONDA LETTERA AI MIEI AMICI

Cari amici,

Nella lettera precedente ho preso in esame la situazione in cui ci tocca vivere ed alcune tendenze che sembrano profilarsi nello svolgersi degli avvenimenti. Ho approfittato di quell’analisi per mettere in discussione alcune proposte avanzate dai difensori dell’economia di mercato e da questi presentate come se si trattasse delle condizioni inevitabili per qualsiasi progresso sociale. Ho anche messo in evidenza il continuo deteriorarsi dello spirito di solidarietà e la perdita dei punti di riferimento tradizionali che sono fenomeni propri di questo momento. Infine ho accennato ad alcune caratteristiche positive che si cominciano ad osservare e che ho chiamato “una nuova sensibilità, un nuovo atteggiamento morale e una nuova disposizione tattica nei confronti della vita”. Alcuni di quelli che mi hanno scritto hanno espresso il loro disaccordo sul tono della lettera: a loro parere, in essa c’erano cose troppo gravi per lasciarsi andare all’ironia. Ma non drammatizziamo! Il sistema di prove presentato dall’ideologia del neo-liberalismo, dell’economia sociale di mercato e del Nuovo Ordine Mondiale è talmente inconsistente che non è proprio il caso di aggrottare le ciglia. Voglio dire, con questo, che tale ideologia è morta nei suoi fondamenti già da molto tempo e che presto sopraggiungerà la crisi pratica, di superficie, ossia quella che alla fine percepiscono quanti confondono significato ed espressione, contenuto e forma, processo e congiuntura. Proprio come le ideologie del fascismo e del socialismo reale erano morte molto tempo prima che si verificasse la loro caduta effettiva, così il disastro dell’attuale sistema sorprenderà i benpensanti solamente più avanti. E’ alquanto ridicolo, vero? E’ come quando si vede più volte un brutto film. Alla fine, conoscendo la storia a memoria, ci mettiamo a studiare i fondali di cartapesta, il trucco degli attori e gli effetti speciali; tutto questo mentre al nostro fianco una signora si commuove per ciò che vede per la prima volta e che per lei costituisce la realtà più vera. Quindi, a mia discolpa, dico che non mi sono preso gioco dell’enorme tragedia rappresentata dall’imposizione di un tale sistema ma, piuttosto, delle sue mostruose pretese e del suo grottesco finale, finale che già conosciamo per averlo visto in molte altre occasioni. Ho ricevuto anche lettere in cui mi si chiede una maggiore precisione nel definire gli atteggiamenti che si dovrebbero assumere nei confronti dell’attuale processo di cambiamento. Per quanto riguarda questo tema, penso che sia meglio cercare di capire i punti di vista sostenuti da diversi gruppi e da singole persone prima di dare raccomandazioni di qualsiasi tipo. Mi limiterò dunque a presentare i punti di vista più popolari, dando la mia opinione sui casi che mi sembrano di maggiore interesse.

1. Alcuni punti di vista riguardo all’attuale processo di cambiamento

Prima d’oggi il progresso dell’umanità è stato lento; oggi, però, a causa dei tanti fattori che si sono andati via via accumulando, la velocità di cambiamento in campo tecnologico ed economico non corrisponde più alla velocità di cambiamento delle strutture sociali e del comportamento umano. Un simile sfasamento tende ad accentuarsi e a generare crisi sempre più gravi. Questo problema può essere affrontato da diversi punti di vista. Vi sono coloro che credono che lo sfasamento si regolerà automaticamente e, pertanto, raccomandano di non tentare di orientare un processo al quale, per di più, sarebbe impossibile dare direzione. Si tratta di una tesi che potremmo chiamare meccanicista ottimista. Altri ritengono che si stia andando irrimediabilmente verso un punto di rottura. E’ il caso dei meccanicisti pessimisti. Appaiono anche correnti morali che pretendono di fermare il cambiamento e, per quanto possibile, di tornare a certe fonti originarie a cui attribuiscono il potere di fornire aiuto e conforto. Esse rappresentano un atteggiamento antistorico. Ma anche i cinici, gli stoici e gli epicurei contemporanei cominciano a far sentire le loro voci. Gli uni negando importanza e senso a qualsiasi azione; gli altri cercando di affrontare gli avvenimenti con rettitudine anche quando tutto va male. I terzi, infine, tentando di approfittare della situazione e pensando semplicemente al proprio ipotetico benessere, al quale sono disposti a far partecipare, al massimo, i loro figli. Proprio come nelle epoche finali delle civiltà del passato, molta gente assume atteggiamenti di salvezza individuale, convinta che qualsiasi azione collettiva non abbia senso né possibilità di successo. In tutti i casi l’insieme sociale viene considerato utile solo per speculazioni strettamente personali ed è per questo che i leader in campo imprenditoriale, culturale o politico debbono manipolare ed abbellire la propria immagine per apparire credibili, per far credere, cioè, che pensano e agiscono in funzione degli altri. Naturalmente tale occupazione ha le sue pene, dato che tutti conoscono il trucco e nessuno crede in niente. I vecchi valori religiosi, patriottici, culturali, politici e sindacali sono assoggettati al denaro e questo avviene in un contesto in cui la solidarietà e, pertanto, l’opposizione collettiva a tale schema dominante, scompare e in cui il tessuto sociale si decompone di pari passo. In seguito sopraggiungerà un’altra fase in cui l’individualismo a oltranza verrà superato… ma questo è un tema da discutere più avanti. Con il nostro paesaggio di formazione che ci pesa addosso e le nostre credenze in crisi non siamo ancora in grado di ammettere che quel nuovo momento storico si avvicina. Oggi sia chi detiene una piccola parte di potere sia chi dipende totalmente dal potere di altri, tutti risultano toccati dall’individualismo, dal quale però trae maggior vantaggio, evidentemente, chi è meglio piazzato nel sistema.

2. L’individualismo, la frammentazione sociale e la concentrazione del potere nelle minoranze

Ma l’individualismo porta necessariamente alla lotta per la supremazia del più forte ed alla ricerca del successo a qualsiasi costo. Una simile tendenza comporta, in una prima fase, il rispetto di certe regole del gioco da parte dei pochi che “giocano” (la maggioranza semplicemente obbedisce). In tutti i casi, tale fase si concluderà in un “tutti contro tutti” perché prima o poi il potere si sbilancerà dalla parte del più forte; da parte loro, gli altri contendenti finiranno per mettere in pericolo un equilibrio tanto precario sia nel caso in cui tentassero di sostenersi a vicenda sia nel caso in cui cercassero l’appoggio di altre fazioni. Ma c’è da dire che le minoranze che detengono il potere sono cambiate insieme allo sviluppo economico e tecnologico: hanno perfezionato i propri metodi a tal punto che in alcuni paesi, dove esiste una certa prosperità, la grande maggioranza della popolazione tende a dirigere il suo scontento verso aspetti secondari della situazione in cui le tocca vivere. E prende forza l’idea che, anche nel caso di una crescita generale del livello di vita, le masse meno favorite sarebbero disposte a rimandare ad un imprecisato futuro il miglioramento delle loro condizioni perché ormai mettono in discussione non la globalità del sistema ma solo alcuni suoi aspetti che appare urgente riformare. Tutto ciò mostra un importante mutamento del comportamento sociale. Se le cose stanno così, lo spirito di militanza che aspira ad un cambiamento sostanziale risulterà sempre più debole e le vecchie forze politiche e sociali che ne erano portatrici verranno a trovarsi senza proposte; i gruppi umani si frammenteranno sempre di più mentre l’isolamento individuale tenderà ad essere gestito da strutture produttrici di beni e di intrattenimento collettivo concentrate nelle stesse mani. In questo mondo paradossale si finirà per cancellare qualsiasi forma di centralizzazione e di burocratismo, distruggendo le strutture di direzione e di decisione prima esistenti; ma la famosa deregulation, decentralizzazione, liberalizzazione di mercati e di attività costituirà il campo più adeguato per una concentrazione di potere di dimensioni mai viste in nessuna epoca precedente, dato che il capitale finanziario internazionale continuerà ad essere assorbito da un sistema bancario sempre più potente. Un simile paradosso peserà sulla classe politica, costretta a proclamare i nuovi valori che tendono a far perdere potere allo Stato, ma che proprio per questo compromettono la funzione centrale da essa svolta. Non a caso parole come “governo” vengono già da tempo sostituite da termini come “amministrazione”; questo fa comprendere al “pubblico” (non al “popolo”) che un paese è un’azienda. D’altra parte, fintantoché non si consoliderà un potere imperiale mondiale, potranno esplodere conflitti fra regioni, proprio come in altri momenti sono esplosi conflitti tra paesi. Che lo scontro rimanga circoscritto al campo economico o si manifesti direttamente sotto forma di guerra in un’area limitata; che come conseguenza scoppino grandi disordini sociali, che cadano governi e arrivino a disintegrarsi interi paesi o zone, tutto questo non influirà affatto sul processo di concentrazione verso il quale questo momento storico sembra puntare. Localismi, lotte inter-etniche, migrazioni e crisi di lunga durata non altereranno il quadro generale di concentrazione del potere. E quando la recessione e la disoccupazione toccheranno anche le popolazioni dei paesi ricchi, la fase liberista risulterà ormai superata e cominceranno le politiche di controllo, di coazione e di emergenza nel miglior stile imperiale… Chi potrà parlare allora di economia di libero mercato e quale importanza avrà sostenere posizioni basate sull’individualismo ad oltranza? Ma devo rispondere ad altre inquietudini che mi sono giunte e che riguardano la caratterizzazione della crisi attuale e delle sue tendenze.

3. Caratteristiche della crisi

Ci soffermeremo sulla crisi dello Stato nazionale, su quella dovuta alla regionalizzazione e alla mondializzazione e su quella della società, dei gruppi e degli individui. Nel contesto di un processo sempre più spinto di mondializzazione si accelera lo scambio di informazioni e aumenta lo spostamento di persone e beni. La tecnologia ed il crescente potere economico si concentrano in imprese sempre più potenti. Ma l’accelerazione degli scambi si scontra con i limiti ed i freni imposti da vecchie strutture quali lo Stato nazionale. Come conseguenza, le frontiere nazionali all’interno di ciascuna regione tendono ad essere cancellate. Questo porta i diversi paesi alla necessità di omogeneizzare non solo la legislazione in materia di tasse doganali e di documenti personali ma anche i loro sistemi produttivi. Il regime lavorativo e quello relativo alla sicurezza sociale seguono la stessa tendenza. Continui accordi tra paesi dimostrano che un Parlamento, un sistema giudiziario ed un potere esecutivo comune permetteranno di gestire una regione con maggiore efficacia e velocità. L’originaria moneta nazionale cede il posto a un tipo di valuta regionale che evita le perdite e i ritardi delle operazioni di cambio. La crisi dello Stato nazionale è un fatto osservabile non solo in quei paesi che tendono ad includersi in un mercato regionale ma anche in quelli che presentano economie in difficoltà e relativamente arretrate. Da tutte le parti si alzano voci contro una burocrazia ormai anchilosata chiedendone una drastica riforma. Nei paesi che si sono formati in tempi recenti grazie a divisioni ed annessioni o che costituiscono delle federazioni artificiali si ravvivano antichi rancori e differenze localistiche, etniche e religiose. Lo Stato tradizionale deve far fronte a queste spinte centrifughe nel mezzo di crescenti difficoltà economiche che mettono in discussione proprio la sua efficacia e legittimità. Fenomeni di questo tipo tendono a moltiplicarsi nell’Europa centrale e orientale e nei Balcani. Le stesse difficoltà si presentano, con aspetti ancora più gravi, anche in Medio Oriente ed in varie altre zone dell’Asia. Sintomi analoghi si cominciano ad osservare in vari paesi africani i cui confini sono stati tracciati in modo artificiale. Contestualmente a tali fenomeni di decomposizione, iniziano le migrazioni di popoli che possono mettere in pericolo l’equilibrio zonale. Basterà una grave crisi politica in Cina per creare un’onda di propagazione capace di produrre gravi danni in più di una regione, data l’instabilità dell’attuale ex-Unione Sovietica e dei paesi asiatici continentali. Nel contempo si sono formati centri economicamente e tecnologicamente potenti che hanno assunto carattere regionale: l’Estremo Oriente capeggiato dal Giappone, l’Europa e gli Stati Uniti. Nonostante che lo sviluppo di queste zone e l’influenza da esse esercitata sembrino indicare che si è in presenza di una struttura di potere policentrica, lo svolgersi degli avvenimenti mostra che gli Stati Uniti possiedono, oltre al potere tecnologico, economico e politico, una forza militare in condizioni di controllare le più importanti aree di approvvigionamento delle materie prime. Nel contesto di una mondializzazione sempre più spinta questa superpotenza tende, in accordo od in disaccordo con gli altri poteri regionali, a porsi come fattore dominante del processo storico attuale. Questo è il significato ultimo del Nuovo Ordine Mondiale. A quanto sembra non è ancora arrivata l’epoca della pace, anche se per il momento si è dissolta la minaccia di una guerra mondiale. Conflitti a carattere localistico, etnico o religioso, sconvolgimenti sociali, migrazioni e guerre in aree ristrette minacciano la presunta stabilità attuale. D’altra parte, le aree meno sviluppate si allontanano sempre di più dalle zone tecnologicamente ed economicamente accelerate e questo sfasamento relativo provoca ulteriori difficoltà. Il caso dell’America Latina è esemplare in questo senso perché, anche se l’economia di vari paesi della regione registrerà nei prossimi anni una forte crescita, la sua dipendenza dai centri di potere diventerà sempre più palese. Con la crescita del potere regionale e mondiale delle società multinazionali e la concentrazione del capitale finanziario internazionale i sistemi politici perdono autonomia e le diverse legislazioni tendono ad adeguarsi ai dettami dei nuovi poteri. Oggi numerose istituzioni possono essere sostituite direttamente o indirettamente dai dipartimenti o dalle fondazioni delle Company che sono in grado, in alcuni paesi, di assistere i loro impiegati ed i figli di questi per tutto quanto riguarda: nascita, formazione professionale, collocazione lavorativa, matrimonio, tempo libero, informazione, sicurezza sociale, pensionamento e morte. In alcuni paesi il cittadino può ormai evitare le vecchie pratiche burocratiche, utilizzando una carta di credito e, presto, una moneta elettronica nella quale verranno registrati non solo le spese ed i depositi ma tutti i precedenti significativi e la situazione presente debitamente valutata. Questo, naturalmente, permette già ad alcuni, e presto a molti, di liberarsi di lungaggini e preoccupazioni secondarie, ma, come contropartita, tali vantaggi personali risulteranno funzionali ad un sistema di controllo mascherato. Con la crescita tecnologica e l’accelerazione del ritmo di vita, la partecipazione politica diminuisce; il potere di decisione si fa remoto e sempre più intermediato; la famiglia si riduce e tende ad esplodere dato che le coppie sono sempre più instabili e mobili; la comunicazione interpersonale si blocca; l’amicizia scompare e la rivalità avvelena tutte le relazioni umane al punto che, siccome tutti diffidano di tutti, la sensazione di insicurezza finisce per non basarsi più sul dato oggettivo dell’aumento della criminalità ma soprattutto su uno stato d’animo. C’è da aggiungere che la solidarietà sociale, di gruppo o interpersonale tende rapidamente a scomparire; che le tossicodipendenze e l’alcolismo costituiscono ormai delle piaghe sociali; che i suicidi e le malattie mentali tendono ad aumentare in modo preoccupante. Naturalmente ovunque esiste una maggioranza sana e ragionevole ma i sintomi di un disadattamento tanto grande non ci permettono più di parlare di una società sana. Il paesaggio di formazione delle nuove generazioni comprende tutti gli elementi di crisi che abbiamo ricordato. Quindi della loro vita non fanno parte solo la qualificazione tecnica e lavorativa, le “telenovelas”, le raccomandazioni degli opinionisti dei mass media, le declamazioni sulla perfezione del mondo in cui viviamo o, per la gioventù privilegiata, l’hobby della moto, dei viaggi, dei bei vestiti, dello sport, della musica e dei gadgets elettronici. Il problema del paesaggio di formazione delle nuove generazioni minaccia di aprire enormi brecce fra gruppi di età diversa, mettendo in campo una dialettica generazionale virulenta, di grande profondità e di enorme estensione geografica. E’ chiaro che al vertice della scala di valori è stato posto il mito del denaro a cui, sempre di più, si subordina tutto. Una vasta porzione della società non vuole ascoltare nulla che le ricordi la vecchiaia e la morte per cui toglie valore a qualunque tema che sia in qualche rapporto con il senso ed il significato della vita. Ed in questo dobbiamo riconoscere una certa ragionevolezza in quanto la riflessione su tali temi non concorda con la scala di valori stabilita dal sistema. Troppo gravi sono i sintomi della crisi per non balzare agli occhi, eppure alcuni diranno che questo è il prezzo che bisogna pagare per esistere alla fine del XX secolo e altri affermeranno che stiamo entrando nel migliore dei mondi possibili. Tali affermazioni riflettono il momento storico attuale nel quale il sistema non è ancora entrato in crisi nella sua globalità, anche se crisi parziali appaiano ovunque. Tuttavia, nella misura in cui i sintomi della decomposizione si faranno più evidenti, anche la valutazione degli avvenimenti cambierà e questo perché si sentirà la necessità di stabilire nuove priorità e nuovi progetti di vita.

4. I fattori positivi del cambiamento

Lo sviluppo scientifico e tecnologico non può essere messo in discussione per il fatto che alcune scoperte siano state o siano tuttora utilizzate contro la vita ed il benessere. Quando si mette in discussione la tecnologia sarebbe opportuno fare una riflessione preliminare sul carattere del sistema che utilizza l’avanzamento del sapere a fini spuri. Il progresso della medicina, delle comunicazioni, della robotica, dell’ingegneria genetica e di molti altri campi, può ovviamente essere sfruttato per fini distruttivi. Lo stesso vale quando l’utilizzo della tecnologia porta allo sfruttamento irrazionale delle risorse, all’inquinamento industriale, alla contaminazione e distruzione dell’ambiente. Ma tutto ciò mostra la direzione negativa che caratterizza l’economia ed i sistemi sociali. Basti questo: tutti sanno che oggi saremmo in grado di risolvere i problemi alimentari dell’intera l’umanità; eppure tutti i giorni dobbiamo prendere atto dell’esistenza di fame, denutrizione e sofferenze subumane perché il sistema non è disposto ad affrontare tali problemi né a rinunciare ai suoi favolosi guadagni in cambio di un miglioramento globale del livello umano. Constatiamo anche che la tendenza verso la regionalizzazione e quindi verso la mondializzazione risulta manipolata dagli interessi di gruppi ristretti a scapito dell’interesse dei grandi insiemi umani. Ma è anche chiaro che, pur fra tante distorsioni, si è messo in moto un processo che porta alla creazione della nazione umana universale. Il cambiamento accelerato che si sta manifestando nel mondo conduce ad una crisi globale del sistema e ad un conseguente riordinamento di fattori. Ma questa è la condizione necessaria perché si giunga ad una stabilità accettabile e ad uno sviluppo armonico del pianeta. Quindi, nonostante le tragedie che si annunciano per la decomposizione dell’attuale sistema globale, la specie umana prevarrà su qualsiasi interesse particolare. La nostra fede nel futuro si basa sulla comprensione della direzione della storia che ha avuto inizio con i nostri antenati ominidi. La nostra specie, che ha lavorato e lottato per milioni di anni per vincere il dolore e la sofferenza, non subirà una fine assurda. Ma per comprendere questo è necessario comprendere processi più ampi delle semplici congiunture e dare il nostro appoggio a tutto ciò che va in una direzione evolutiva anche quando risultati immediati non appaiano alla vista. Lo scoramento degli esseri umani valenti e solidali ritarda il cammino della storia. Ma è difficile comprendere il senso del processo umano se la vita personale non viene riorganizzata e orientata in direzione positiva. Qui non sono in gioco fattori meccanici o determinismi storici, qui è in gioco l’intenzione umana che tende sempre ad aprirsi il passo anche di fronte alle più gravi difficoltà. Spero, amici miei, di passare a temi che ci diano più animo nella prossima lettera in cui lasceremo da parte la descrizione dei fattori negativi per abbozzare delle proposte che siano in accordo con la nostra fede in un futuro migliore per tutti. Ricevete, con questa lettera, un caloroso saluto.

5 Dicembre 1991

Lettere ai miei amici - 3