texts

Lettere ai miei amici - 4

QUARTA LETTERA AI MIEI AMICI

Cari amici,

Nelle lettere precedenti ho presentato la mia opinione sul modo in cui la società, i gruppi umani e gli individui si rapportano a questo momento di grandi cambiamenti e di perdita dei riferimenti in cui ci tocca vivere; ho criticato alcune tendenze negative che si profilano nello svolgersi degli avvenimenti e, scegliendo i più conosciuti, ho riportato i punti di vista di coloro che pretendono di sapere come si risolvono le questioni più pressanti di questo momento. E’ chiaro che tutte le valutazioni presentate, bene o mal formulate che siano, riflettono un punto di vista personale e questo, a sua volta, si inquadra in un insieme di idee che ne costituiscono il fondamento. Sarà certo per questo che mi è stato suggerito da più parti di precisare “da dove” partono le mie critiche e le mie proposte. In fondo, si può dire di tutto in modo più o meno originale, proprio come succede nella vita di tutti i giorni quando ci saltano in mente le cose più strane, cose che non pretendiamo certo di giustificare. Possiamo pensare una cosa oggi e il suo opposto domani, senza mai andare oltre quel che di banale che caratterizza le valutazioni della vita quotidiana. Proprio per questo crediamo sempre meno alle opinioni degli altri e alle nostre stesse, dando per scontato che si tratta di valutazioni congiunturali, che possono cambiare in poche ore, proprio come le opportunità di investimento in Borsa. E se in queste opinioni sembra esserci qualcosa di più permanente, si tratta comunque di ciò che viene consacrato dalla moda di oggi e che verrà poi sostituito dalla moda successiva. Qui non sto difendendo l’immobilismo nel campo delle opinioni ma sottolineando la mancanza di consistenza delle stesse: in verità sarebbe molto interessante se i cambiamenti avvenissero in base ad una logica interna e non al variare della direzione del vento. Ma chi riesce a sopportare logiche interne in un’epoca in cui ci si aggrappa a qualsiasi cosa pur di non annegare! In questo stesso momento, mentre sto scrivendo, mi rendo conto che quanto ho detto non potrà entrare nella testa di un certo tipo di lettori perché questi non vi hanno ancora trovato i tre possibili codici da loro pretesi, che sono questi: 1) le mie spiegazioni devono servire loro da svago; 2) devo chiarire subito in che modo potranno utilizzarle nei loro affari; 3) esse devono corrispondere a ciò che è consacrato dalla moda. Sono certo che questo paragrafo, che da “Cari amici” arriva fin qui, li lascerà completamente disorientati, come se stessimo scrivendo in sanscrito. Ma bisogna vedere con che facilità quelle stesse persone comprendono cose complesse, come le operazioni bancarie più sofisticate o le meraviglie della tecnica amministrativa computerizzata! E’ impossibile per costoro comprendere che stiamo parlando di opinioni, di punti di vista e delle idee che ne costituiscono la base; che stiamo parlando dell’impossibilità di farci capire anche relativamente alle cose più semplici se queste non sono conformi al paesaggio da essi costruito in base all’educazione e alle sollecitazioni ricevute. Ecco come stanno le cose! Chiarito tutto questo, tenterò di riassumere in questa lettera le idee che sono alla base delle mie opinioni, delle mie critiche e delle mie proposte; sarò particolarmente attento a non andare troppo oltre il livello dello slogan pubblicitario perché, secondo i saggi dettami del giornalismo specializzato, le idee organizzate sono “ideologie” e queste, come le dottrine, sono strumenti per il lavaggio del cervello maneggiati da chi si oppone alla libertà di commercio e all’economia sociale di mercato delle opinioni. Oggi, adeguandoci alle esigenze del post-modernismo, cioé alle esigenze della haute couture (vestiti da sera, cravatte a farfalla, spalle imbottite, scarpe da ginnastica e giacche con le maniche rimboccate), dell’architettura decostruttivista e dell’arredamento destrutturato, ci sentiamo in dovere di non dare sequenza logica ai pezzi del discorso. E non dimentichiamo che anche la critica del linguaggio rifiuta ciò che è sistematico, strutturale e ordinato secondo un processo!… E’ chiaro che tutto questo corrisponde all’ideologia dominante della Company, che ha orrore della Storia e delle idee alla cui formazione non ha partecipato e nelle quali non ha potuto collocare una grossa percentuale di azioni. Scherzi a parte, passiamo ad esporre le nostre idee, almeno quelle che consideriamo più importanti. Debbo rilevare che buona parte di queste sono state presentate nella conferenza che ho tenuto a Santiago del Cile il 23 maggio 1991.1

1. Il punto di partenza delle nostre idee

La nostra concezione non prende l’avvio da affermazioni generali ma dall’esame della specificità della vita umana, della specificità dell’esistenza, della specificità del vissuto personale del pensare, del sentire e dell’agire. Questa impostazione rende la nostra concezione incompatibile con qualunque sistema di pensiero che parta invece da entità quali l’Idea, la materia, l’inconscio, la volontà, ecc. E colui che ammette o rifiuta una qualsiasi concezione, per logica o stravagante che sia, porrà sempre se stesso in gioco, precisamente per il fatto di ammettere o di rifiutare. Porrà se stesso in gioco, non la società, l’inconscio o la materia. Parliamo, dunque, della vita umana. Quando mi osservo, non da un punto di vista fisiologico ma da un punto di vista esistenziale, riconosco di trovarmi in un mondo già dato, da me né costruito né scelto, di trovarmi in-situazione nei confronti di fenomeni che, a partire dal mio proprio corpo, mi risultano ineludibili. Il corpo, poi, come elemento costitutivo della mia esistenza è un fenomeno omogeneo al mondo naturale sul quale agisce e dal quale è “agito”. Ma la naturalità del corpo mi si presenta molto diversa da quella di tutti gli altri fenomeni naturali; infatti: 1. del corpo ho un vissuto diretto, immediato; 2. attraverso il corpo ho un vissuto dei fenomeni esterni; 3. grazie alla mia intenzione, ho una disponibilità immediata di alcune delle operazioni che il corpo è in grado di compiere.

2. Natura, intenzione e apertura dell’essere umano

Il mondo, d’altra parte, mi si presenta non tanto come un agglomerato di oggetti naturali bensì come un’articolazione di esseri umani e di oggetti e segni da essi prodotti o modificati. L’intenzione che avverto in me mi appare come un elemento interpretativo fondamentale del comportamento degli altri; e proprio come costituisco il mondo sociale comprendendone le intenzioni, così da esso sono costituito. Ovviamente stiamo parlando di intenzioni che si manifestano attraverso azioni corporee. È grazie alle espressioni corporee od alla percezione della situazione in cui l’altro si trova che posso comprenderne i significati, le intenzioni. Inoltre, gli oggetti naturali e quelli umani mi procurano o piacere o dolore; per questo cerco sempre di modificare la mia collocazione rispetto ad essi, nel senso che cerco di allontanarmi da ciò che mi risulta doloroso e di avvicinarmi a ciò che mi risulta piacevole. Pertanto non sono affatto chiuso al mondo naturale ed umano: anzi, la mia caratteristica fondamentale è precisamente l’“apertura”. La mia coscienza si è configurata su una base intersoggettiva: usa codici di ragionamento, modelli emotivi, schemi di azione che sento come “miei” ma che riconosco anche in altri. E, ovviamente, il mio corpo è aperto al mondo in quanto il mondo io lo percepisco e su di esso agisco. Il mondo naturale, a differenza dell’umano, mi appare privo di intenzioni. Posso - è ovvio - immaginare che le pietre, le piante o le stelle posseggano un’intenzione ma, in ogni caso, un effettivo dialogo con esse mi risulta impossibile. Anche gli animali, nei quali a volte scorgo la scintilla dell’intelligenza, mi appaiono impenetrabili, soggetti a trasformazioni lente e sempre all’interno di quella che è la loro natura. Vedo società di insetti totalmente strutturate e mammiferi superiori che usano rudimenti tecnici, ma tutti ripetono i loro codici come se fossero sempre i primi rappresentanti delle loro rispettive specie. E nelle virtù dei vegetali e degli animali modificati ed addomesticati dall’uomo riconosco l’intenzione umana ed il suo avanzare nell’opera di umanizzazione del mondo.

3. L’apertura sociale e storica dell’essere umano

Definire l’uomo sulla base della socialità mi risulta insoddisfacente in quanto questo aspetto è comune a numerose specie animali; né la sua caratteristica fondamentale può essere trovata nella capacità lavorativa perché esistono animali che possiedono questa capacità ad un livello molto superiore; né a definire l’essenza umana basta il linguaggio, perché sappiamo che in varie specie animali esistono codici e forme di comunicazione. In cambio, nel fatto che ogni nuovo essere umano trova un mondo modificato da altri e viene costituito da un mondo sempre dotato di intenzioni, scopro la capacità più propriamente umana di accumulare ed incorporare la dimensione temporale; scopro cioè la dimensione storico-sociale e non semplicemente sociale dell’essere umano. Date queste premesse, tenterò una definizione. Questa: “L’uomo è un essere storico che trasforma la propria natura attraverso l’attività sociale.” Ma se ammetto come valida questa definizione, dovrò ammettere che l’essere umano può trasformare intenzionalmente anche la propria struttura fisica. Ma questo sta già accadendo. L’uomo ha iniziato tale processo utilizzando “protesi” esterne, cioè degli strumenti posti davanti al suo corpo, che gli hanno permesso di ampliare le funzioni delle mani, di affinare i sensi, di aumentare la potenza e la qualità del suo lavoro. Dal punto di vista naturale l’uomo non era adatto alla vita nell’acqua o nell’aria, ciò nonostante è stato capace di creare le condizioni per muoversi in esse ed oggi sta addirittura iniziando a dar forma concreta ad una possibilità estrema, quella di emigrare dal proprio ambiente naturale, il pianeta Terra. Oggi, inoltre, l’uomo sta intervenendo sul suo stesso corpo sostituendone gli organi, modificando la chimica cerebrale, sviluppando la fecondazione in vitro, manipolando i geni. Se con l’idea di “natura” umana si è voluto indicare ciò che c’è di stabile nell’essere umano, tale idea oggi risulta inadeguata, anche se la si applica alla parte più oggettuale dell’essere umano stesso, vale a dire il corpo. Per quanto riguarda poi la validità di espressioni quali “morale naturale”, “diritto naturale”, o “istituzioni naturali”, riteniamo che in questi campi tutto sia storico-sociale e nulla vi esista “naturalmente”.

4. L’azione trasformatrice dell’essere umano

L’idea di “natura” umana si è sviluppata parallelamente all’idea che la coscienza sia passiva. Secondo questo modo di pensare, l’uomo è un’entità che agisce in risposta agli stimoli del mondo naturale. All’inizio una tale concezione si è manifestata nella forma di un sensualismo grossolano; questo è stato a poco a poco sostituito da correnti storicistiche che hanno però mantenuto al loro interno la posizione che esso sosteneva riguardo alla passività della coscienza. E tra tali correnti, persino quelle che privilegiavano l’attivismo e la trasformazione del mondo all’interpretazione dei fatti hanno concepito l’attività umana come il risultato di condizioni esterne alla coscienza. Questi vecchi pregiudizi sulla natura umana e sulla passività della coscienza oggi riappaiono e tentano di imporsi in una nuova veste, quella del neo-evoluzionismo che ha come criteri distintivi la lotta per la sopravvivenza e la selezione naturale che privilegia il più forte. Nella sua versione più recente tale concezione zoologica, trapiantata nel mondo umano, abbandona le dialettiche basate sulla razza e la classe sociale che ne caratterizzavano le precedenti espressioni e passa a sostenere una dialettica basata su leggi economiche naturali che autoregolerebbero tutta l’attività sociale. Così, ancora una volta, l’essere umano concreto scompare dalla vista ed è trasformato in cosa. Abbiamo elencato le concezioni che, per spiegare l’uomo, partono da dati teorici generali e sostengono l’esistenza di una natura umana e la passività della coscienza. Noi, al contrario, sosteniamo la necessità di partire dalla specificità umana; sosteniamo che l’essere umano è un fenomeno storico-sociale e non naturale, ed inoltre affermiamo che la coscienza umana è attiva e trasforma il mondo sulla base dell’intenzione. Abbiamo inteso la vita umana in-situazione ed il corpo come un oggetto naturale percepito direttamente e direttamente sottoposto a numerosi dettami dell’intenzione. A questo punto si impongono le seguenti domande: in che senso la coscienza umana è attiva, secondo quali modalità, cioè, è in grado di applicare le proprie intenzioni al corpo e attraverso di esso trasformare il mondo? In secondo luogo, secondo quali modalità la costituzione umana è storico-sociale? Queste domande devono trovare risposta a partire dall’esistenza individuale se non vogliamo ricadere in generalità teoriche, dalle quali successivamente verrà fatto derivare un sistema di interpretazioni. Di conseguenza, per rispondere alla prima domanda si dovrà cogliere con evidenza immediata come l’intenzione agisca sul corpo, e per rispondere alla seconda bisognerà partire dall’evidenza della temporalità e dell’intersoggettività dell’essere umano, e non da leggi generali della Storia e della società. Nel nostro libro Contributi al pensiero si cerca di rispondere proprio a queste due domande. Nel primo saggio di Contributi si studia la funzione che l’immagine svolge nella coscienza, mettendo in evidenza la sua capacità di muovere il corpo nello spazio. Nel secondo saggio, si studia il tema della storicità e della socialità. Questi temi, per la loro specificità, ci porterebbero troppo lontano dall’oggetto della presente lettera, per cui rimandiamo al materiale citato.

5. Il superamento del dolore e della sofferenza come progetto fondamentale di vita

Abbiamo detto in Contributi che il mondo costituisce il destino naturale del corpo: ed è sufficiente osservare come il corpo è conformato per verificare la validità di questa asserzione. I sensi, gli apparati di nutrizione, locomozione, riproduzione, ecc., sono conformati naturalmente per stare nel mondo; ma fondamentale è anche il fenomeno dell’immagine, la quale dispiega attraverso il corpo la sua carica trasformatrice. E l’immagine non sorge per copiare il mondo, come riflesso di una situazione data ma, al contrario, proprio per modificare una situazione precedentemente data. In questa dinamica gli oggetti vengono intesi come ampliamenti o come limitazioni delle possibilità corporee, mentre i corpi estranei appaiono come dei moltiplicatori di tali possibilità, in quanto sono governati da intenzioni che si riconoscono simili a quelle che governano il proprio corpo. Ma perché l’essere umano ha bisogno di trasformare il mondo e se stesso? La ragione sta nella situazione di finitezza e di carenza temporospaziale nella quale esso si trova e che sperimenta come dolore fisico o sofferenza mentale. Allora, gli sforzi per vincere il dolore non costituiscono una semplice risposta animale ma piuttosto una configurazione temporale in cui prevale il futuro, che si trasforma in un impulso fondamentale della vita anche quando questa, in un determinato momento, non si trova in situazione di pericolo. Pertanto, se lasciamo da parte la risposta immediata, riflessa e naturale, il differimento della risposta e la costruzione effettuata per evitare il dolore fisico risultano spinte dalla sofferenza psicologica che sorge di fronte alla possibilità del pericolo; tanto il differimento della risposta come la costruzione per evitare il dolore sono rappresentate come possibilità future o come situazioni attuali in cui il dolore è presente in altri esseri umani. Il superamento del dolore appare dunque come un progetto fondamentale che guida l’azione umana. E’ l’intenzione di vincere il dolore che ha reso possibile la comunicazione fra corpi ed intenzioni diverse all’interno di ciò che chiamiamo la “costituzione sociale”. La costituzione sociale è storica come la vita umana e configura la vita umana. La sua trasformazione è continua, ma si dà in modo diverso rispetto a quanto avviene nella natura, i cui cambiamenti non sono dovuti ad intenzioni.

6. Immagine, credenza, sguardo e paesaggio

Un giorno qualsiasi entro nella mia stanza e percepisco la finestra: la riconosco, mi è conosciuta. Ora ne ho una nuova percezione, ma in me agiscono anche le vecchie percezioni di essa, ritenute nella memoria sotto forma di immagini. Oggi, però, mi rendo conto che un angolo del vetro presenta una crepa … “quella non c’era”, mi dico, mettendo a confronto la nuova percezione con le ritenzioni in memoria relative alle percezioni precedenti. In più mi succede di provare una specie di sorpresa. La “finestra” percepita in altre occasioni è rimasta impressa come ritenzione nella mia memoria, ma non passivamente come una fotografia: essa è attiva ed agisce proprio come agiscono le immagini. Le ritenzioni, infatti, agiscono su ciò che percepisco, nonostante si siano formate nel passato. Si tratta di un passato sempre attualizzato, sempre presente. Prima di entrare nella mia stanza davo per scontato, presupponevo, che la finestra dovesse essere in perfette condizioni; non lo stavo pensando, semplicemente ci contavo. La finestra in particolare non era presente nei miei pensieri di quel momento, ma compresente: era interna all’orizzonte degli oggetti contenuti nella mia stanza. E’ grazie al sistema di compresenze, alla ritenzione attualizzata e sovrapposta alla percezione, che la coscienza presume più di quanto percepisca. In questo fenomeno troviamo il funzionamento più elementare della credenza. E’ come se, nell’esempio citato, io dicessi: “Credevo che la finestra fosse in perfette condizioni”. Se poi, entrando nella mia stanza, mi fossero apparsi fenomeni propri di un campo differente di oggetti, per esempio il motore di un aereo od un ippopotamo, una tale situazione surreale mi sarebbe risultata incredibile: e non perché quegli oggetti non esistano ma perché la loro collocazione sarebbe risultata esterna rispetto al campo di compresenza, esterna rispetto al paesaggio che ho formato e che agisce in me sovrapponendosi a tutto ciò che percepisco. Ebbene, in qualsiasi istante presente della mia coscienza posso osservare l’incrociarsi di ritenzioni e di futurizzazioni che agiscono in compresenza e in struttura. L’istante presente si costituisce nella mia coscienza come un campo temporale attivo dato da tre tempi differenti. Il tempo della coscienza è molto differente dal tempo del calendario, dove il giorno di oggi non è toccato da quello di ieri né da quello di domani. Nel calendario - o nell’orologio - l’“adesso” risulta distinto dal “non più” e dal “non ancora”, e inoltre gli avvenimenti sono ordinati uno accanto all’altro in una successione lineare: non posso certo dire che ciò costituisca una struttura, si tratta piuttosto di un raggruppamento all’interno di una serie totale che chiamo “calendario”. Ma su questo punto torneremo quando prenderemo in esame il tema della storicità e della temporalità. Riprendiamo piuttosto un argomento toccato precedentemente, cioè il fenomeno per cui la coscienza presume più di quel che percepisce, il fenomeno per cui ciò che viene dal passato, ovvero una ritenzione in memoria, si sovrappone alla percezione attuale. Ogni sguardo che rivolgo ad un oggetto produce una percezione deformata dell’oggetto stesso. Questa affermazione non va presa nello stesso senso in cui la fisica moderna parla della nostra incapacità di percepire l’atomo o le lunghezze d’onda al di sopra ed al di sotto delle nostre soglie di percezione: qui ci stiamo riferendo al fenomeno per cui le immagini delle ritenzioni e delle futurizzazioni si sovrappongono alla percezione. Così, quando in campagna assisto a un bel tramonto, il paesaggio naturale che osservo non è determinato in sé ma sono io stesso a determinarlo, a costituirlo sulla base dell’ideale estetico cui aderisco. E se magari provo un senso di grande pace, ciò può darmi l’illusione di contemplare in modo passivo, mentre in realtà sono io stesso a mettere attivamente in campo numerosi contenuti che si sovrappongono al semplice oggetto naturale. E ciò non è valido limitatamente a questo esempio: lo è per ogni sguardo che rivolgo alla realtà.

7. Le generazioni e i momenti storici

L’organizzazione sociale è sottoposta ad una dinamica e ad uno sviluppo continui, ma tale continuità non si deve solo alla presenza di oggetti sociali, perché questi, pur essendo portatori di intenzioni umane, non hanno potuto crescere di per sé soli. La continuità è data dalle generazioni umane che interagiscono e si trasformano e non risultano semplicemente poste l’una accanto all’altra. Le generazioni, proprio grazie alle quali sono possibili la continuità e lo sviluppo della produzione sociale, sono delle strutture dinamiche, sono il tempo sociale in movimento senza il quale la società ricadrebbe nello stato naturale e perderebbe la sua condizione di società. Succede, d’altra parte, che in ogni momento storico coesistano generazioni di diverso livello temporale, con ritenzioni e protensioni distinte, che configurano pertanto paesaggi situazionali differenti. Il corpo e il comportamento dei bambini e degli anziani presenta alle generazioni attive rispettivamente la situazione da cui esse provengono e quella verso cui vanno; da parte loro le generazioni collocate agli estremi di questa relazione triplice hanno collocazioni temporali che sono anch’esse estreme. Ma questa è una situazione che non rimane mai statica: le generazioni attive invecchiano, i vecchi muoiono, i bambini crescono e vanno ad occupare posizioni attive mentre nuove nascite ricostituiscono di continuo la società. Se, per astrazione, si “fermasse” l’incessante fluire, si potrebbe parlare di un “momento storico”, rispetto al quale tutti i membri che si trovano collocati in uno stesso scenario sociale possono essere considerati contemporanei, cioè viventi in uno stesso tempo. Ma, come possiamo facilmente osservare, essi non sono coetanei rispetto alla temporalità interna, perché hanno paesaggi di formazione, situazioni attuali e progetti tra loro diversi. In pratica, la dialettica generazionale si stabilisce tra le “frange” contigue che tentano di assicurarsi il controllo delle attività centrali per svolgerle secondo i loro interessi e le loro credenze. E’ la temporalità sociale interna ciò che spiega strutturalmente il divenire storico, sul quale interagiscono diverse accumulazioni generazionali e non una successione di fenomeni posti linearmente uno accanto all’altro come nel tempo del calendario, secondo quanto ci spiega qualche altra Filosofia della Storia. Configuro il mio paesaggio in un mondo storico che si è costituito socialmente, sempre interpretando quello cui rivolgo lo sguardo. C’è il mio paesaggio personale, ma c’è anche un paesaggio collettivo che corrisponde in un dato momento a grandi insiemi umani. Come abbiamo detto prima coesistono, in uno stesso tempo presente, diverse generazioni. Potremmo affermare, semplificando molto, che in questo momento esistono quelli che sono nati prima del transistor e quelli che sono nati tra i computer. Numerose configurazioni sono diverse nelle due esperienze, e non solo riguardo al modo di agire ma anche riguardo a quello di pensare e sentire… e così i rapporti sociali o il modo di produzione che funzionavano in una certa epoca, a volte lentamente, a volte in modo brusco, cessano di funzionare. Dal futuro ci si attendeva un certo risultato: ora quel futuro è arrivato, ma le cose non sono andate nel modo previsto. Né il modo di agire, né la sensibilità, né l’ideologia di quell’epoca ormai passata concordano più con il nuovo paesaggio che si sta imponendo nello scenario sociale.

8. La violenza, lo Stato e la concentrazione del potere

Per la sua apertura al mondo e per la sua libertà di scegliere tra situazioni, di differire risposte e di immaginare il futuro, l’essere umano ha anche la possibilità di negare se stesso - negare aspetti del proprio corpo o negare il corpo completamente come nel suicidio - e di negare gli altri. Proprio questa libertà ha permesso che alcuni si appropriassero illegittimamente della totalità sociale, cioè negassero la libertà e l’intenzionalità di altri riducendoli a protesi, a strumenti delle proprie intenzioni. Qui sta l’essenza della discriminazione, la cui metodologia è la violenza nelle sue varie forme: fisica, economica, razziale e religiosa. La violenza si può instaurare e perpetuare grazie alla manipolazione dell’apparato di regolazione e di controllo sociale, vale a dire lo Stato. Proprio per questo, l’organizzazione sociale richiede un tipo avanzato di coordinazione che stia al riparo da qualunque concentrazione di potere, sia essa privata che statale. Quando si sostiene che la privatizzazione di tutte le aree economiche costituisce una garanzia nei confronti del potere statale si sta occultando il vero problema: quello del monopolio o dell’oligopolio che trasferisce il potere dallo Stato a uno Stato Parallelo manipolato non più da una minoranza di burocrati ma da una minoranza di privati che alimenta il processo di concentrazione. Le diverse strutture sociali, dalle più primitive alle più sofisticate, tendono ad una concentrazione sempre più spinta fino a che si immobilizzano; comincia allora la fase di dissoluzione, da cui partono nuovi processi di riorganizzazione a un livello più alto del precedente. Fin dall’inizio della storia la società punta alla mondializzazione e questo processo porterà ad un’epoca di massima concentrazione del potere arbitrario con caratteristiche di impero mondiale, senza possibilità di espansione ulteriore. Il collasso del sistema globale avverrà secondo la logica che governa la dinamica strutturale di tutti i sistemi chiusi, nei quali il disordine tende necessariamente ad aumentare. Ma mentre il processo delle strutture tende alla mondializzazione, il processo di umanizzazione tende all’apertura dell’essere umano, tende al superamento dello Stato e dello Stato Parallelo, tende al decentramento ed alla de-concentrazione che favorisce un coordinamento di livello superiore tra specificità sociali autonome. Che tutto termini nel caos a cui seguirà un nuovo inizio di civiltà o che inizi una fase di progressiva umanizzazione - questa alternativa non dipende da inesorabili leggi meccaniche ma dall’intenzione degli individui e dei popoli, dal loro impegno a cambiare il mondo e da un’etica della libertà che per definizione non può essere imposta. E bisognerà aspirare non ad una democrazia formale gestita come finora dagli interessi delle fazioni ma ad una democrazia reale, nella quale la partecipazione diretta si realizzerà istantaneamente grazie alle possibilità offerte dall’attuale tecnologia delle comunicazioni.

9. Il processo umano

Senza dubbio coloro che hanno sottratto ad altri una parte della loro umanità hanno provocato nuovo dolore e sofferenza, ricreando, questa volta in seno alla società, l’antica lotta contro le avversità naturali: una lotta che vede ora contrapposti, da un lato, coloro che vogliono “naturalizzare” altri esseri umani, la società e la Storia, e dall’altro gli oppressi, che hanno bisogno di umanizzarsi umanizzando il mondo. Per questo, umanizzare significa uscire dalla reificazione per affermare l’intenzionalità di ogni essere umano ed il primato del futuro sulla situazione presente. E’ la rappresentazione di un futuro realizzabile e migliore che permette di modificare il presente e che rende possibile ogni rivoluzione ed ogni cambiamento. Di conseguenza, la pressione di condizioni opprimenti non è sufficiente a determinare il cambiamento: perché il cambiamento si dia è anche necessaria la consapevolezza che esso è possibile e che dipende dall’azione umana. Si tratta di una lotta che non si dà tra forze meccaniche, che non è il riflesso di un fenomeno naturale: si tratta di una lotta fra intenzioni umane. E’ esattamente questo a permetterci di parlare di oppressori ed oppressi, di giusti ed ingiusti, di eroi e codardi. E’ questa l’unica cosa che permette di dare un senso alla solidarietà sociale ed all’impegno per la liberazione dei discriminati, siano essi maggioranza o minoranza. Infine, considerazioni più dettagliate sulla violenza, lo Stato, le istituzioni, la legge e la religione si ritrovano nel testo intitolato Il paesaggio umano, inserito nel libro Umanizzare la terra, a cui rimando per non andare oltre i limiti di questa lettera. Per quanto attiene al significato degli atti umani, non crediamo che essi siano una convulsione senza senso, una “passione inutile”, un tentativo che si concluderà in modo assurdo. Pensiamo che l’azione valida sia quella che si fa carico degli altri esseri umani e della loro libertà. E neppure crediamo che il destino dell’umanità sia fissato da un insieme di cause radicate nel passato che renderanno vano ogni possibile sforzo; al contrario crediamo che il futuro sarà costruito dall’intenzione, sempre più cosciente nei popoli, di aprire il cammino che porta alla creazione di una nazione umana universale. Da quanto detto sin qui emerge in modo evidente che l’esistenza umana non comincia né finisce dentro un circolo vizioso, e che una vita che aspira alla coerenza deve aprirsi per aumentare la propria influenza su persone e su ambiti per promuovere non solo una concezione o alcune idee, ma anche azioni precise che rendano sempre più ampli gli spazi della libertà. Nella prossima lettera abbandoneremo questi temi strettamente dottrinali per prendere di nuovo in esame la situazione attuale e l’azione individuale nel mondo sociale. Ricevete, con questa lettera, un caloroso saluto.

19 Dicembre 1991 -—————————– \1. La citata conferenza si trova in “Discorsi” in questo stesso volume

Lettere ai miei amici - 5