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Lettere ai miei amici - 8

OTTAVA LETTERA AI MIEI AMICI

Cari amici,

Come avevo preannunciato nella lettera precedente, nella presente prenderò in esame alcune questioni che riguardano gli eserciti. Necessariamente questo scritto verterà sul rapporto tra forze armate, potere politico e società. Prenderò come base il documento discusso tre mesi fa a Mosca dal titolo La necessità di una posizione umanista nelle forze armate contemporanee (Conferenza internazionale sull’umanizzazione delle attività militari e sulla riforma delle forze armate, patrocinata dal Ministero della Difesa della CSI, Mosca, 24-28 maggio 1993). Mi allontanerò dai concetti esposti nel documento originale solo quando esaminerò la posizione delle forze armate nel processo rivoluzionario, tema che mi consentirà di definire alcune idee accennate in precedenza.

1. Necessità di una ridefinizione del ruolo delle forze armate

Oggi le forze armate stanno cercando di ridefinire il loro ruolo. Questa situazione si è determinata dopo le iniziative di disarmo proporzionale e progressivo intraprese dall’Unione Sovietica alla fine degli anni ‘80. Il ridursi della tensione tra le superpotenze ha determinato una svolta nel concetto di difesa nei paesi più importanti. Tuttavia, la graduale sostituzione dei blocchi politico-militari (in particolare il Patto di Varsavia) con un sistema di rapporti di relativa cooperazione ha attivato forze centrifughe che portano a nuovi scontri in varie parti del pianeta. Certo, nel pieno della “guerra fredda” i conflitti in aree ristrette erano frequenti e spesso prolungati ma al giorno d’oggi il loro carattere è cambiato ed essi minacciano di investire i Balcani, il mondo musulmano e varie zone dell’Asia e dell’Africa. La disputa sui confini, che in passato costituiva una preoccupazione per le forze armate di paesi contigui, oggi prende un’altra direzione per l’apparire di tendenze secessioniste all’interno di alcuni paesi. Per le disparità economiche, etniche e linguistiche, frontiere che si ritenevano immutabili tendono a cambiare, mentre avvengono migrazioni su grande scala. Si tratta di gruppi umani che si mettono in movimento per fuggire da situazioni disperate oppure per contenere o scacciare da determinate aree altri gruppi umani. Questi ed altri fenomeni denotano cambiamenti profondi, in particolare nella struttura e nella concezione dello Stato. Da un lato assistiamo a un processo di regionalizzazione economica e politica, dall’altro osserviamo il crescere della discordia all’interno di paesi coinvolti in tale processo. E’ come se lo Stato nazionale, disegnato duecento anni fa, non sopportasse più i colpi che le forze multinazionali gli sferrano dall’alto e che le forze della secessione gli sferrano dal basso. Sempre più dipendente, sempre più legato all’economia regionale e sempre più impegnato nella guerra commerciale contro altre regioni, lo Stato soffre una crisi senza precedenti e tende a perdere il controllo delle situazioni. I suoi statuti fondamentali vengono modificati per lasciare spazio allo spostamento di capitali e risorse finanziarie; i suoi codici e le sue leggi civili e commerciali finiscono per risultare obsoleti. Persino la casistica penale cambia, visto che oggi un cittadino può essere estradato ed il reato che ha commesso giudicato in un altro paese da magistrati di un’altra nazionalità ed in base a leggi straniere. Pertanto il vecchio concetto di sovranità nazionale ne risulta sensibilmente ridimensionato. Tutto l’apparato giuridico-politico dello Stato, le sue istituzioni ed il personale impegnato al suo servizio diretto o mediato, risentono gli effetti di questa crisi generale. Tale è anche la situazione in cui versano le forze armate, alle quali un tempo era stato affidato il ruolo di salvaguardare la sovranità e la sicurezza generale. Privatizzate l’istruzione, la sanità, le comunicazioni, le risorse naturali e perfino importanti aree della sicurezza cittadina; privatizzati i beni e i servizi, diminuisce l’importanza dello Stato tradizionale. Se l’amministrazione e le risorse di un paese escono dall’area del controllo pubblico, è coerente ritenere che la Giustizia seguirà la stessa strada e che alle forze armate verrà assegnato il ruolo di milizia privata destinata a difendere gli interessi economici locali o multinazionali. Negli ultimi tempi tali tendenze sono andate accentuandosi all’interno di vari paesi.

2. Permanenza di fattori aggressivi nella fase di distensione

Ancora non è scomparsa l’aggressività di certe potenze e questo nonostante esse stesse abbiano dato per conclusa la “guerra fredda”. Oggi si registrano violazioni di spazi aerei e marittimi; avvicinamenti imprudenti a territori lontani; incursioni e installazioni di basi; il consolidamento di patti militari; guerre ed occupazioni di territori stranieri per il controllo delle rotte di navigazione o per il possesso di fonti di approvvigionamento di materie prime. I precedenti costituiti dalle guerre di Corea, Vietnam, Laos e Cambogia; dalle crisi di Suez, Berlino e Cuba; dalle incursioni a Grenada, Tripoli e Panama hanno mostrato al mondo come si potessero attaccare paesi indifesi utilizzando un potenziale bellico sproporzionato ed hanno un loro peso al momento di parlare di disarmo. Si tratta di fatti che rivestono una gravità particolare perché, come avvenuto nella guerra del Golfo, si sono svolti nelle vicinanze di paesi molto importanti che avrebbero potuto interpretare tali manovre come lesive della propria sicurezza. Azioni così eccessive stanno inoltre producendo effetti indotti nocivi, come il rafforzamento, sul fronte interno, di quei settori che giudicano i loro governi incapaci di frenare simili spinte aggressive. Tutto ciò, quindi, può finire per compromettere il clima di pace internazionale, tanto necessario in questo momento.

3. Sicurezza interna e ristrutturazione delle forze armate

Per quanto riguarda la sicurezza interna, è necessario citare due problemi che sembrano già profilarsi all’orizzonte degli avvenimenti: i disordini sociali e il terrorismo. Se la disoccupazione e la recessione tenderanno a crescere nei paesi industrializzati, è possibile che questi diventino teatro di convulsioni o disordini sociali che capovolgeranno, in qualche misura, il quadro che si presentava nei decenni precedenti quando i conflitti si sviluppavano nella periferia mentre il centro continuava a crescere senza strappi. Avvenimenti come quelli di Los Angeles dello scorso anno potrebbero estendersi ben oltre i confini di una città e coinvolgere anche altri paesi. Infine il fenomeno del terrorismo si profila come un pericolo di grandi proporzioni, per la capacità di fuoco sulla quale possono oggi contare individui e gruppi relativamente specializzati. I terroristi potrebbero minacciare di utilizzare armi nucleari od esplosivi di tipo deflagrante e molecolare ad alto potenziale ma anche armi chimiche e batteriologiche, di costo ridotto e di facile produzione. Sono quindi numerose e diverse le preoccupazioni delle forze armate, dato il panorama instabile del mondo d’oggi. D’altra parte, al di là dei problemi strategici e politici di cui esse si devono occupare, vi sono i temi interni riguardanti la ristrutturazione, il licenziamento di importanti contingenti di truppe, i metodi di reclutamento ed addestramento, il rinnovo dei materiali, l’ammodernamento tecnologico e, soprattutto, le risorse economiche. Ma c’è da aggiungere che, sebbene i citati problemi di contesto debbano essere compresi fino in fondo, nessuno di essi potrà essere risolto completamente se non risulterà chiaro quale funzione primaria dovranno svolgere gli eserciti. In fin dei conti è il potere politico che dà orientamento alle forze armate e queste agiscono in base a tale orientamento.

4. Revisione dei concetti di sovranità e sicurezza

Nella concezione tradizionale le forze armate si vedono attribuita la funzione di salvaguardare la sovranità e la sicurezza di un paese e per questo dispongono dell’uso della forza su mandato dei poteri costituiti. In questo modo il monopolio della violenza, che appartiene allo Stato, viene trasferito ai corpi militari. Qui appare un primo punto di discussione: che cosa deve intendersi per “sovranità” e per “sicurezza”? Se queste, o con termine più moderno, il “progresso” di un paese, richiedono fonti di approvvigionamento di materie prime extra-territoriali, il diritto assoluto di navigazione per assicurare lo spostamento delle merci, il controllo di punti strategici con il medesimo fine e l’occupazione di territori altrui, allora ci troviamo di fronte alla teoria ed alla pratica coloniali o neo-coloniali. Nell’epoca del colonialismo la funzione degli eserciti consisteva innanzitutto nell’aprire la strada agli interessi delle corone dell’epoca e poi delle compagnie private che ottenevano speciali concessioni dal potere politico in cambio di adeguate elargizioni. Questo sistema illegale fu giustificato ricorrendo alla presunta barbarie dei popoli invasi, considerati incapaci di darsi un’amministrazione adeguata. L’ideologia corrispondente a questa fase ha consacrato il colonialismo come il sistema “civilizzatore” per eccellenza. Nell’epoca dell’imperialismo napoleonico la funzione dell’esercito, che occupava il potere politico, consisteva nell’ampliare le frontiere con lo scopo dichiarato di redimere i popoli oppressi dalla tirannide mediante l’azione bellica e l’instaurazione di un sistema amministrativo e giuridico che consacrava nei suoi codici le idee di Libertà, Uguaglianza e Fraternità. L’ideologia ad esso corrispondente giustificava l’espansione imperiale ricorrendo al criterio di “necessità”: la necessità di un potere costituito dalla rivoluzione democratica, il quale si trovava schierate contro monarchie illegali basate sulla disuguaglianza che, per di più, facevano fronte comune per soffocare la Rivoluzione. Più di recente, e seguendo gli insegnamenti di Clausewitz, la guerra è stata intesa come la pura e semplice continuazione della politica; e lo Stato, promotore di tale politica, è stato considerato come l’apparato di governo di una società radicata all’interno di certi limiti geografici. Da qui si è giunti a definizioni, care alla mentalità geo-politica, nelle quali le frontiere appaiono come “la pelle dello Stato”. Secondo questa concezione organicistica tale “pelle”, che si contrae o si espande a seconda del tono vitale di un paese, deve ampliarsi quando si sviluppa una comunità che reclama “spazio vitale” a causa della sua concentrazione demografica od economica. In questa prospettiva la funzione dell’esercito risulta essere quella di guadagnare spazio, conformemente alle esigenze di una simile politica di sicurezza e di sovranità, che risulta primaria rispetto alle necessità dei paesi confinanti. Qui l’ideologia dominante proclama la disuguaglianza per quanto riguarda le necessità delle diverse collettività, disuguaglianza che dipende dalle loro caratteristiche vitali. Questa visione zoologica della lotta per la sopravvivenza del più adatto richiama i concetti del darwinismo, qui trasferiti impropriamente alla pratica politica e militare.

5. La legalità e i limiti del potere vigente

In questo momento ci sono in giro molte cose derivanti dalle tre concezioni che abbiamo usato per esemplificare in quali modi gli eserciti rispondano al potere politico e trovino un loro inquadramento sulla base delle regole che, di volta in volta, questo adotta per sicurezza e sovranità. Pertanto, se la funzione dell’esercito è servire lo Stato in fatto di sicurezza e sovranità, le forze armate dovranno in ogni caso attenersi alla concezione che il loro governo ha relativamente a questi due temi, e questo nonostante tale concezione possa variare da governo a governo. Questo punto ammette qualche limite o eccezione? Si osservano chiaramente due eccezioni: 1. Quando il potere politico si è costituito in modo illegittimo e si sono esaurite le risorse civili per porre termine a una tale situazione di anormalità; 2. Quando il potere politico si è costituito legalmente ma nel suo esercizio è diventato illegale e si sono esaurite le risorse civili per porre termine alla situazione anomala. In entrambi i casi le forze armate hanno il dovere di ripristinare la legalità interrotta, il che equivale a portare avanti le azioni che non hanno avuto esito per via civile. In queste situazioni, l’esercito si deve rifare alla legalità e non al potere vigente. Non si tratta quindi di attribuire all’esercito uno status deliberativo ma di porre in evidenza la precedente interruzione della legalità, messa in atto da un potere vigente di origine delittuosa o che si è trasformato in delittuoso. La domanda che ci si deve porre quindi è questa: da dove deriva la legalità e quali sono le sue caratteristiche? Rispondiamo che la legalità proviene dal popolo, che si è dato un certo tipo di Stato ed un certo tipo di leggi costitutive alle quali i cittadini devono attenersi. E nel caso estremo in cui il popolo decidesse di modificare un certo tipo di Stato e di leggi, spetterebbe solo ad esso farlo, non potendo esistere una struttura statale ed un sistema legale al di sopra di tale decisione. Questo punto ci conduce alla considerazione del fatto rivoluzionario che affronteremo più avanti.

6. La responsabilità delle forze armate nei confronti del potere politico

Bisogna sottolineare che i corpi militari devono essere formati da cittadini responsabili dei loro doveri nei confronti del potere legalmente costituito. Se il potere costituito si basa, per il suo funzionamento, su regole democratiche che prevedono il rispetto della volontà della maggioranza grazie all’elezione e al rinnovo dei rappresentanti popolari, il rispetto delle minoranze nei termini stabiliti dalle leggi ed il rispetto della separazione e dell’indipendenza dei poteri, allora non sono le forze armate a dover deliberare sui successi o sugli errori del governo. Parimenti le forze armate non possono sostenere meccanicamente un regime che si sia insediato in modo illegale, invocando l’“obbedienza dovuta”. Anche in caso di conflitto internazionale le forze armate non possono praticare il genocidio seguendo gli ordini di un potere reso cieco da una situazione anormale. Perché se i diritti umani non sono al di sopra di qualsiasi altro diritto, non si comprende perché esistano l’organizzazione sociale e lo Stato. E nessuno può invocare l’“obbedienza dovuta” quando si tratta di assassinio, tortura e degradazione dell’essere umano. Se i tribunali sorti dopo la seconda guerra mondiale ci hanno insegnato qualcosa, è che l’uomo d’armi ha responsabilità in quanto essere umano, anche nella situazione-limite del conflitto bellico. A questo punto ci si potrà chiedere: l’esercito non è forse un’istituzione che per addestramento, disciplina ed equipaggiamento può diventare un fattore primario di distruzione? Rispondiamo che le cose stanno così già da molto tempo e che, indipendentemente dall’avversione che proviamo per qualunque forma di violenza, non possiamo proporre la scomparsa o il disarmo unilaterale degli eserciti, perché così si creerebbero vuoti che sarebbero riempiti da altre forze aggressive, come abbiamo detto prima riferendoci agli attacchi contro paesi indifesi. Sono le stesse forze armate ad avere un’importante missione da compiere non intralciando la filosofia e la pratica del disarmo proporzionale e progressivo, ispirando inoltre i commilitoni di altri paesi a seguire questa stessa direzione e rendendo manifesto che la funzione delle forze militari nel mondo d’oggi è quella di evitare catastrofi e servitù causate da governi illegali che non rispondono al mandato popolare. Quindi il miglior servizio che le forze armate possono rendere al loro paese ed a tutta l’umanità è quello di evitare che esistano le guerre. Questa proposta, che potrebbe sembrare utopica, è oggi sostenuta dalla forza dei fatti, i quali dimostrano come l’aumento del potere bellico globale od unilaterale rappresenti per tutti un fattore di scarsa utilità e di pericolosità. Vorrei tornare sul tema della responsabilità delle forze armate con degli esempi opposti. Nell’epoca della “guerra fredda” in Occidente si lanciava un doppio messaggio: da un lato si diceva che la NATO ed altri blocchi erano stati creati per difendere uno stile di vita minacciato dal comunismo sovietico e, in alcune occasioni, da quello cinese. Dall’altro si dava corso ad azioni militari in diverse zone per proteggere gli “interessi” delle grandi potenze. In America Latina, invece, gli eserciti locali preferivano dedicarsi, con i colpi di Stato, alla minaccia della sovversione interna. Lì le forze armate cessavano di rendere conto al potere politico e si sollevavano contro qualunque forma di diritto e di costituzione. In pratica tutto un continente finiva per essere militarizzato in ossequio alla cosiddetta “dottrina della sicurezza nazionale”. La scia di morte e di arretratezza che quelle dittature hanno lasciato dietro di sé è stata giustificata, in modo singolare, lungo tutta la catena di comando con l’idea di “obbedienza dovuta”. Si è sostenuto, infatti, che nella disciplina militare si eseguono gli ordini del livello gerarchico immediatamente superiore. Questa impostazione, che ricorda le giustificazioni dei genocidi perpetrati dal nazismo, propone un tema che deve essere attentamente esaminato quando si discutono i limiti della disciplina militare. Come abbiamo già detto il nostro punto di vista su questo aspetto specifico è che l’esercito, quando rompe i legami di dipendenza dal potere politico, si trasforma in una forza irregolare, in una banda armata fuorilegge. Questo punto è chiaro ma ammette un’eccezione: quello della sollevazione militare contro un potere politico che si sia instaurato illegalmente o che si sia posto in una situazione faziosa. Le forze armate non possono invocare l’“obbedienza dovuta” verso un potere illegale, perché così facendo finiscono per sostenere tale situazione irregolare, proprio come, in altre circostanze, non possono compiere un golpe militare, eludendo la funzione che gli è propria, di rispettare il mandato popolare. Questo per quanto concerne l’ordine interno; se invece ci riferiamo ad una guerra internazionale, diciamo che le forze armate non possono usare la violenza contro la popolazione civile del paese nemico.

7. La ristrutturazione delle forze armate

Per quanto riguarda il reclutamento dei cittadini siamo favorevoli alla sostituzione del servizio militare obbligatorio con il servizio militare facoltativo, sistema, questo, che permetterà una maggiore formazione del soldato professionista. Ma alla conseguente riduzione del personale di truppa dovrà corrispondere una riduzione rilevante del personale con funzioni di quadro e di comando. Ed è chiaro che una tale ristrutturazione non risulterà adeguata se non verranno risolti i problemi di tipo personale, familiare e sociale che necessariamente appariranno nel caso, oggi frequente, di eserciti sovradimensionati. I contingenti in sovrappiù troveranno una nuova destinazione lavorativa e geografica e potranno essere reinseriti nella società in modo equilibrato se si adotterà un modello militare flessibile durante il periodo necessario alla ricollocazione. Le ristrutturazioni che oggi vengono effettuate in diverse parti del mondo devono tenere conto, come prima cosa, del modello di paese nel quale avvengono. Naturalmente un sistema statale unitario ha caratteristiche diverse da un sistema federativo o da un sistema costituito da diversi paesi che vanno confluendo in una comunità regionale. Il nostro punto di vista, favorevole al sistema federativo ed aperto alla confederazione regionale, richiede, per un corretto disegno della ristrutturazione, impegni solidi e permanenti che ne garantiscano la continuità. Se non esiste una volontà chiara delle parti in questo senso, la ristrutturazione non risulterà possibile poiché il contributo economico di ciascun paese partecipante risulterà condizionato dal va e vieni occasionale della politica. In questo caso le truppe federali potranno esistere solo formalmente e i contingenti militari risulteranno essere la semplice somma del potenziale di ciascuna comunità che fa parte della federazione. Ciò comporterà anche problemi di unificazione del comando di difficile soluzione. In definitiva, sarà l’orientamento politico a dettare le regole e, in una situazione come questa, le diverse forze armate richiederanno una conduzione molto precisa e coordinata. Un problema relativamente importante in tema di ristrutturazione è quello riguardante alcuni aspetti dei corpi di sicurezza. I corpi di sicurezza, se non sono militarizzati, dovrebbero occuparsi di ordine interno e di difesa dei cittadini anche se abitualmente sono coinvolti in operazioni di controllo molto lontane dai fini per cui sono stati creati. In molti paesi risultano dipendere direttamente da organi politici come il Ministero dell’Interno e non dal Ministero della Guerra o della Difesa. D’altra parte le polizie, intese come istituzioni al servizio della cittadinanza e preposte alla salvaguardia di un ordine giuridico non lesivo degli abitanti di un paese, hanno un carattere accessorio e sono sotto la giurisdizione del potere giudiziario. Spesso, tuttavia, per il loro carattere di forza pubblica, svolgono operazioni che agli occhi della cittadinanza le fanno apparire come forze militari. Si percepisce chiaramente l’inopportunità di una tale confusione ed è interesse delle forze armate che su questo punto le differenze siano chiare. Lo stesso vale per diversi organismi dello Stato da cui dipendono servizi informativi segreti, intrecciati e sovrapposti, che non hanno niente a che vedere con le forze armate. Gli eserciti hanno bisogno di un adeguato sistema informativo che consenta loro di operare con efficienza ma tale sistema non deve basarsi affatto su meccanismi di controllo dei comportamenti e dei movimenti della cittadinanza, perché la sua funzione riguarda la sicurezza della nazione e non ha niente a che vedere con il consenso o la riprovazione ideologica nei confronti del governo di turno.

8. La posizione delle forze armate nel processo rivoluzionario

Si suppone che in una democrazia il potere provenga dalla sovranità popolare. Tanto la conformazione dello Stato quanto quella degli organismi che da esso dipendono derivano dalla stessa fonte. Così l’esercito svolge la funzione, che gli è attribuita dallo Stato, di difendere la sovranità di un paese e di dare sicurezza ai suoi abitanti. Possono evidentemente verificarsi delle aberrazioni nel caso in cui l’esercito od una fazione occupino illegalmente il potere, come abbiamo visto in precedenza. Ma, come s’è già detto, potrebbe verificarsi il caso estremo in cui un popolo decida di cambiare il tipo di Stato e di leggi, vale a dire, il tipo di sistema. Spetterebbe al popolo farlo, non potendo esistere una struttura statale ed un sistema legale al di sopra di tale livello di decisione. E’ indubbio che le carte costituzionali di molti paesi contemplino la possibilità di essere esse stesse modificate per decisione popolare. Per questa via potrebbe verificarsi un cambiamento rivoluzionario grazie al quale la democrazia formale verrebbe sostituita dalla democrazia reale. Ma se venissero frapposti ostacoli al realizzarsi di una tale possibilità, si negherebbe l’origine stessa di ogni legalità. In una circostanza di questo genere, esaurite tutte le risorse civili, è dovere dell’esercito soddisfare la volontà di cambiamento allontanando la fazione che si trova al potere (peraltro illegalmente) dalla gestione della cosa pubblica. Grazie all’intervento militare, si creerebbero le condizioni rivoluzionarie che permetterebbero al popolo di dar vita ad un nuovo tipo di organizzazione sociale ed ad un nuovo regime giuridico. Non è necessario sottolineare la differenza tra un intervento militare il cui obiettivo è restituire al popolo la sovranità che gli è stata strappata ed il puro e semplice golpe militare che distrugge la legalità stabilita per mandato popolare. In questo stesso ordine d’idee la legalità esige che la richiesta del popolo venga rispettata anche nel caso in cui il popolo stesso proponga trasformazioni rivoluzionarie. Perché una maggioranza non dovrebbe manifestare il desiderio di cambiare le strutture sociali e perché una minoranza non dovrebbe avere l’opportunità di lavorare politicamente per attuare una trasformazione rivoluzionaria della società? Negare la volontà di un cambiamento rivoluzionario con la repressione e la violenza compromette seriamente la legalità delle attuali democrazie formali. Si sarà osservato che non abbiamo toccato temi relativi alla strategia o alla dottrina militare e neppure questioni di tecnologia e di organizzazione militare. Ma non potrebbe essere diversamente. _Noi abbiamo precisato il punto di vista umanista riguardo al rapporto tra forze armate, potere politico e società. _Sono gli uomini d’arme che hanno davanti a sé un enorme lavoro teorico e pratico per adattare i loro schemi al momento tanto speciale che il mondo sta vivendo. L’opinione della società riguardo a questi temi ed un autentico interesse da parte delle forze armate a conoscere tale opinione, pur sapendo che si tratta di un approccio non specialistico, costituiscono elementi d’importanza fondamentale. Allo stesso modo, un rapporto vivo tra membri di eserciti di paesi diversi ed una discussione franca con i civili rappresentano un passo avanti importante per quanto riguarda il riconoscimento della pluralità dei punti di vista. I criteri che imponevano la non comunicazione tra eserciti di paesi diversi e la chiusura rispetto alle richieste del popolo sono propri di un’epoca nella quale gli scambi, sia a livello di uomini che di materiali, erano limitati. Il mondo è cambiato per tutti, anche per le forze armate.

9. Considerazioni sugli eserciti e sulla rivoluzione

Oggi vanno per la maggiore due modi di vedere le cose che ci interessano in modo particolare. Secondo l’uno l’epoca delle rivoluzioni è finita; secondo l’altro i militari risulteranno sempre meno importanti per quanto riguarda le decisioni politiche. Si tende anche a credere che solo in certi paesi arretrati o disorganizzati permarranno, come residui del passato, minacce d’ingerenza politica da parte dei militari. D’altro canto si pensa che il sistema di relazioni internazionali, per il fatto di diventare sempre più solido, farà sentire il proprio peso e riporterà nella norma tali situazioni irregolari ormai superate. Sulla questione delle rivoluzioni, come si è già detto, abbiamo un punto di vista diametralmente opposto. E’ tema assai discutibile, poi, che il concerto delle nazioni “civilizzate” finisca per imporre un nuovo ordine nel quale le decisioni dei militari non avranno peso. Noi vogliamo sottolineare che è precisamente nelle nazioni e nelle regioni che vanno assumendo un carattere imperiale che le rivoluzioni e le decisioni dei militari faranno sentire di più la loro presenza. Presto o tardi le forze del denaro, concentrate in sempre meno mani, si scontreranno con la maggioranza popolare e, in una tale situazione, banca ed esercito risulteranno essere termini antitetici. Per quanto riguarda l’interpretazione dei processi storici ci collochiamo quindi agli antipodi. Solo i tempi ormai prossimi chiariranno qual è la corretta percezione dei fatti, fatti che, per alcuni, seguendo la tradizione degli ultimi anni, risulteranno “incredibili”. Se si vedono le cose nell’altra maniera, che si dirà quando poi quei fatti accadranno? Probabilmente che l’umanità è tornata indietro o, più semplicemente, che “il mondo è impazzito”. Noi crediamo che fenomeni quali il crescente irrazionalismo, il sorgere di una profonda religiosità e tanti altri ancora, non appartengano al passato ma corrispondano a una nuova fase storica che dovremo affrontare con tutto il coraggio intellettuale e con tutto l’impegno umano di cui saremo capaci. Non servirà a niente continuare a sostenere che il mondo d’oggi si trova al massimo livello possibile di sviluppo sociale. Ben più importante sarà comprendere che la situazione che stiamo vivendo porta direttamente al collasso di tutto un sistema, sistema che alcuni ritengono difettoso ma “perfettibile”. Il sistema oggi non è affatto “perfettibile”. Al contrario, con esso giunge al culmine l’inumanità di quei tanti fattori che si sono accumulati nell’arco di molti anni. Se qualcuno giudica queste affermazioni prive di fondamento, diciamo che è nel suo pieno diritto farlo, a patto però che presenti un proprio punto di vista coerente. E se quel qualcuno pensa che la nostra posizione sia pessimista, noi diciamo che la direzione che porta all’umanizzazione del mondo prevarrà sul processo negativo meccanico sotto la spinta della rivoluzione che i grandi insiemi umani, oggi defraudati del loro destino, finiranno per mettere in atto. Ricevete, con questa lettera, un caloroso saluto.

10 Agosto 1993

Lettere ai miei amici - 9