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Lettere ai miei amici - 9

NONA LETTERA AI MIEI AMICI

Cari amici,

Spesso ricevo lettere in cui mi si domanda: “In che situazione ci troviamo oggi per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani?” Personalmente, non sono in grado di dare una risposta precisa. Credo, però, che quanti hanno sottoscritto la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e cioè oltre 160 Stati della Terra, debbano saperlo. Tali Stati hanno firmato il 10 dicembre 1948, o successivamente, l’accettazione del documento elaborato dalle Nazioni Unite. Tutti avevano compreso di cosa trattasse, tutti si erano impegnati a difendere i diritti ivi proclamati. Si è anche firmato il Trattato di Helsinki e tutti i paesi hanno designato rappresentanti presso le commissioni dei diritti umani e presso i tribunali internazionali.

1. Violazioni dei diritti umani

Se consideriamo ciò che è accaduto in questo campo negli ultimi tempi rifacendoci alla cronaca quotidiana, dovremo riformulare la domanda in questo modo: “Qual è il gioco ipocrita di manipolazione dei diritti umani che i governi portano avanti?”. Basta seguire appena le agenzie d’informazione, prestare attenzione a quotidiani, riviste, radio e TV per dare una risposta. Prendiamo come esempio il più recente rapporto di Amnesty International (che risale però al 1992), ed esponiamo in modo sommario alcuni dei dati lì riportati. Le violazioni dei diritti umani sono aumentate nel mondo a causa di grandi catastrofi come le guerre in Jugoslavia e in Somalia. Ci sono stati arresti politici in 62 paesi; torture istituzionali in 110 ed omicidi politici compiuti da governi in 45. La guerra in Bosnia-Erzegovina ha mostrato chiaramente gli abusi e le carneficine perpetrati da tutte le parti in lotta: decine di migliaia di persone sono state assassinate, torturate e ridotte alla fame, spesso solo a causa della loro appartenenza etnica. In altri paesi, come il Tagikistan e l’Azerbaigian, si sono osservati gli stessi fenomeni. Le denunce di torture e maltrattamenti da parte delle forze di sicurezza sono aumentate considerevolmente in Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Romania ed Italia. In questi casi la razza delle vittime ha giocato un ruolo importante. Anche i gruppi armati di opposizione nel Regno Unito, in Spagna ed in Turchia hanno commesso gravi trasgressioni dei diritti umani. Negli Stati Uniti ci sono state 31 esecuzioni (il numero maggiore dal 1977, anno in cui è stata reintrodotta la pena di morte). Nello stesso periodo in Somalia sono stati uccisi migliaia di civili disarmati. Forze di sicurezza e “squadroni della morte” hanno assassinato circa 4.000 persone in America Latina. In Venezuela ci sono state decine di arresti ed esecuzioni di prigionieri politici durante la sospensione delle garanzie costituzionali, seguita ai tentativi di golpe del 4 febbraio e del 27 novembre. A Cuba sono state incarcerate, per motivi politici, circa 300 persone ma l’esattezza di questi dati non ha potuto essere verificata, non essendo permesso agli osservatori internazionali di Amnesty l’ingresso nel paese. In Brasile la polizia ha ucciso 111 prigionieri durante una rivolta carceraria a San Paolo mentre nella stessa città, a Rio de Janeiro ed in altre zone del paese centinaia di bambini e di altri “indesiderabili” sono stati giustiziati. In Perù sono “scomparse” 139 persone e altre 65 sono state giustiziate senza processo dalle forze di sicurezza. Sono circolati rapporti attestanti maltrattamenti generalizzati nelle zone contadine delle montagne e circa 70 persone sono state condannate all’ergastolo dopo processi irregolari. I gruppi armati dell’opposizione, inoltre, hanno assassinato diverse dozzine di persone in varie parti del paese. In Colombia le ripetute denunce di violazioni dei diritti umani sono state smentite dalla segreteria presidenziale che ha attribuito tali informazioni a oppositori politici interessati a falsificare l’immagine della realtà politica del paese. Tuttavia Amnesty ha denunciato che le forze armate ed i gruppi paramilitari hanno ucciso senza processo non meno di 500 persone, mentre i gruppi armati di opposizione e le organizzazioni del narcotraffico ne hanno assassinate circa 200. Amnesty aggiunge che la lotta contro i militanti islamici ha provocato un peggioramento della situazione per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani in vari paesi arabi come l’Algeria e l’Egitto. Torture, processi ingiusti, omicidi politici, “sparizioni” ed altre violazioni gravi sono state perpetrate da personale governativo in tutto il Medio Oriente. In Egitto, con l’adozione di una nuova legislazione in materia, si è “incoraggiata” la tortura dei detenuti politici ed otto militanti islamici, presunti appartenenti ad un gruppo armato, sono stati condannati a morte da un tribunale militare “dopo un processo non equo”. In Algeria sono state detenute in accampamenti isolati nel deserto fino a 10.000 persone senza accuse o senza processo. Da parte loro i gruppi fondamentalisti hanno ammesso di essere responsabili di omicidi di civili e di gravi violazioni dei diritti umani in Algeria ed in Egitto, così come nei territori occupati da Israele. Gli arresti senza processo sono particolarmente diffusi in Siria ma se ne registrano anche in Israele, Libia, Irak, Kuwait, Arabia Saudita, Marocco e Tunisia. In Cina Amnesty ha richiamato l’attenzione sulla quantità di prigionieri per reati d’“opinione” e sul fatto che per gli attivisti politici sono previste pene senza alcun precedente processo giudiziario. Agenzie giornalistiche di diverso orientamento politico hanno fatto circolare carte geografiche del mondo in cui decine di paesi risultano coperti da punti che indicano i luoghi in cui sono avvenute violazioni dei diritti umani o da numeri che contabilizzano i morti per guerre religiose ed interetniche. In altre carte i punti indicano le migliaia di persone decedute a causa della fame nei loro luoghi d’origine o durante grandi migrazioni. Ma quanto sin qui ricordato non esaurisce il tema dei diritti umani né, di conseguenza, quello delle violazioni che essi subiscono.

2. I diritti umani, la pace e l’umanitarismo come pretesti per un intervento

Oggi si parla dei diritti umani con rinnovato vigore. Ma è cambiato il colore di coloro che innalzano questa bandiera. Nei decenni passati i progressisti si sono attivamente impegnati nella difesa di principi che erano stati consacrati dal consenso delle nazioni. Certo non sono mancate le dittature che in nome di tali diritti si sono prese gioco dei bisogni e delle libertà personali e collettive. Alcune dittature hanno sostenuto che i cittadini avrebbero avuto accesso alla casa, all’assistenza sanitaria, all’istruzione ed al lavoro, fintanto che non avessero messo in discussione il sistema imperante. Logicamente, dicevano, non bisognava confondere libertà con libertinaggio e “libertinaggio” era mettere in discussione il regime. Oggi le destre hanno raccolto la bandiera dei diritti umani e le si vede attive nella difesa di tali diritti e della pace soprattutto quando il problema riguarda quei paesi che non controllano completamente. Approfittando di alcuni meccanismi internazionali, organizzano forze d’intervento capaci di raggiungere qualsiasi luogo del pianeta per imporre la “giustizia”. All’inizio portano medicine ed alimenti, poi finiscono per sparare sulla popolazione, prendendo le parti della fazione che più si sottomette al loro potere. Presto qualsiasi “quinta colonna” potrà sostenere che nel suo paese la pace viene messa in pericolo o che si calpestano i diritti umani, per sollecitare l’aiuto degli interventisti. In realtà, i precedenti trattati e patti di mutua difesa sono stati sostituiti da documenti che legalizzano l’azione di forze “neutrali”. Così oggi si instaura, con qualche ritocco, la vecchia Pax Romana. Insomma, si tratta di trasformazioni ornitologiche: si è cominciato con l’aquila degli stendardi dei legionari, che ha poi preso la forma della colomba di Picasso, un pennuto a cui oggi sono spuntati gli artigli. Essa non torna all’Arca biblica portando un ramo d’ulivo, ma al caveau1 della banca portando un dollaro nel becco aguzzo. Il tutto viene adeguatamente condito con argomentazioni che strappano le lacrime. E su questo punto bisogna procedere con cautela, perché anche se si intervenisse in altri paesi per motivi umanitari evidenti per tutti, questo creerebbe un precedente che potrebbe giustificare nuove azioni senza che esistano ragioni altrettanto umanitarie od evidenti per tutti. C’è da osservare che in conseguenza del processo di mondializzazione, le Nazioni Unite stanno svolgendo un crescente ruolo militare che comporta non pochi pericoli. Ancora una volta si mette in pericolo la sovranità e l’autodeterminazione dei popoli con la manipolazione dei concetti di pace e di solidarietà internazionale. Affronteremo i temi della pace in un’altra occasione; ora prenderemo in esame un po’ più da vicino i diritti umani che, come tutti sappiamo, non riguardano solo questioni di libertà di coscienza o di libertà politica e d’espressione. Questi diritti non si limitano a proteggere i cittadini dalla persecuzione, dalla carcerazione e dalla morte in cui potrebbero incorrere per il fatto di non conformarsi ad un dato regime. In altre parole, i diritti umani non rimangono circoscritti alla difesa delle persone dalla violenza fisica diretta di cui potrebbero essere vittime. Su questo punto c’è molta confusione e molto del lavoro fatto risulta piuttosto confuso; tuttavia alcune idee fondamentali sono state tracciate dalla Dichiarazione del 1948.

3. Gli altri diritti umani

Il documento, all’articolo 2.1., afferma: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. Alcuni dei diritti proclamati sono i seguenti: articolo 23.1. “Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.”; articolo 25.1. “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.” Gli articoli sottoscritti dagli Stati membri si basano sulla concezione dell’uguaglianza e dell’universalità dei diritti umani. Non si ritrovano nello spirito né nell’enunciato della Dichiarazione, che è tassativo, espressioni condizionali come: “… tali diritti saranno rispettati solo nel caso in cui non influenzino le variabili macroeconomiche”. Oppure: “… i diritti citati saranno rispettati qualora si addivenga ad una società opulenta”. Ciononostante, il senso di quanto esposto potrebbe venire capovolto richiamandosi all’articolo 22: “Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale e in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità e al libero sviluppo della sua personalità”. Nelle parole “in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato”, l’esercizio effettivo dei diritti si diluisce e questo ci porta direttamente a discutere il tema dei modelli economici. Prendiamo in considerazione, per ipotesi, un paese sufficientemente organizzato e dotato di risorse, che ad un certo punto passi all’economia di mercato. In una situazione di questo tipo, lo Stato tenderà a trasformarsi in semplice “amministratore”, mentre l’impresa privata si preoccuperà di portare avanti i propri affari. Gli stanziamenti per sanità, istruzione e sicurezza sociale verranno progressivamente ridotti. Lo Stato cesserà di svolgere una politica “assistenzialista”, per cui le sue responsabilità in questo campo verranno meno. Neppure l’impresa privata dovrà farsi carico di tali problemi, poiché le leggi che avrebbero potuto obbligarla a proteggere i diritti in questione verranno modificate. L’impresa entrerà in conflitto anche con le regolamentazioni riguardanti l’igiene e la sicurezza sul lavoro. Ma l’idea salvifica, che verrà messa in pratica, di privatizzare la sanità porrà l’impresa in condizione di colmare il vuoto creatosi nella precedente fase di transizione. Questo schema si ripeterà in tutti i campi con l’espandersi del settore privato, il quale si incaricherà di offrire i propri efficienti servizi a chi potrà pagarli, cosa per cui solo il 20% della popolazione vedrà soddisfatti i propri bisogni. Ma allora chi difenderà i diritti umani nella concezione universale ed egualitaria, se questi saranno rispettati_ in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ciascuno Stato?_ Perché è chiaro che “quanto più ridotto sarà lo Stato, tanto più prospera sarà l’economia di un paese”, come spiegano i sostenitori dell’ideologia liberista. In una discussione di questo genere si passerà rapidamente dalla declamazione idilliaca sulla “prosperità generale” alla brutalità; l’esposizione assumerà carattere di ultimatum e si svolgerà più o meno in questi termini: “Se le leggi pongono limitazioni al capitale, questo abbandonerà il paese, gli investimenti non arriveranno, i prestiti internazionali ed il rifinanziamento dei debiti contratti in precedenza cesseranno e di conseguenza le esportazioni e la produzione si ridurranno, per cui, in definitiva, l’ordine sociale risulterà minacciato”. Così, con tutta semplicità, verrà chiaramente spiegato uno dei tanti modelli di estorsione. Se abbiamo riferito le cose appena commentate ad un paese con sufficienti risorse che passi all’economia di mercato, è facile immaginare quanto più grave risulterà la situazione di un paese che non possa contare su requisiti anche minimi in materia di organizzazione e risorse. Considerato il modo in cui si sta proponendo il Nuovo Ordine mondiale ed in ragione dell’interdipendenza economica in tutti i paesi (ricchi o poveri) il capitale attenterà contro la concezione universale ed egualitaria dei diritti umani. La precedente discussione sull’articolo 22 non può proporsi in termini strettamente grammaticali perché in questo articolo (ed in tutta la Dichiarazione dei Diritti Umani) non si pone al di sopra delle persone una valutazione economica che ne relativizzi i diritti. Non è neppure legittimo introdurre argomenti ellittici come il seguente: essendo l’economia la base dello sviluppo sociale, è necessario dedicare ogni sforzo alle variabili macroeconomiche per preoccuparsi dei diritti umani solo una volta raggiunto il benessere. Si tratta di un’affermazione tanto sciocca e banale quanto quest’altra: “Poiché la società è sottoposta alla legge di gravità è necessario concentrarsi su questo problema e parlare dei diritti umani solo quando sarà stato risolto”. In una società sana, i cittadini non ritengono opportuno costruire su pendii instabili perché danno per scontati i condizionamenti della gravità; ugualmente, tutti sanno bene cosa siano i condizionamenti economici e quale importanza abbia una loro corretta soluzione in funzione della vita umana. In ogni modo queste sono digressioni che non attengono al tema centrale. La riflessione sui diritti umani non si riduce alle questioni di lavoro, remunerazione e assistenza che abbiamo appena toccato come non si limitava, secondo quanto visto sopra, agli ambiti dell’espressione politica e della libertà di coscienza. Abbiamo messo in evidenza alcuni difetti nel testo della Dichiarazione ma dobbiamo comunque convenire che sarebbe sufficiente una scrupolosa applicazione dei suoi articoli da parte di tutti i governi perché questo mondo possa andare incontro ad un grande cambiamento in positivo.

4. L’universalità dei diritti umani e la tesi culturale

Esistono diverse concezioni dell’essere umano. Una tale varietà di punti di vista trova la sua radice nelle diverse culture a partire dalle quali si osserva la realtà. Questo fatto influenza in maniera globale la questione dei diritti umani. In effetti contro l’idea di un essere umano universale, con gli stessi diritti e con le stesse funzioni in tutte le società, oggi si leva la tesi “culturale” che presenta un punto di vista diverso su questi temi. I suoi sostenitori ritengono che i presunti diritti universali dell’uomo non sono altro che la generalizzazione del punto di vista sostenuto dall’Occidente, il quale ambisce ad un’ingiustificata validità universale. Esaminiamo, ad esempio, l’articolo 16.1. “Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento”. 16.2. “Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi”. 16.3. “La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”. Queste tre frasi dell’articolo 16 presentano numerose difficoltà d’interpretazione e d’applicazione per varie culture che appartengono ad un’area che va dal Medio Oriente all’Asia e all’Africa. In altre parole, presentano difficoltà per la maggior parte dell’umanità. Per questo mondo tanto esteso e vario il matrimonio e la famiglia non rientrano nei parametri che sembrano tanto “naturali” all’Occidente. Di conseguenza, queste istituzioni ed i diritti umani universali che ad esse si riferiscono sono oggetto di discussione. Altrettanto succede se esaminiamo la concezione di Diritto in generale e quella di giustizia o se confrontiamo l’idea di punizione del criminale con quella di riabilitazione di chi commette un reato, punti questi sui quali non c’è accordo neanche tra i paesi dello stesso contesto culturale occidentale. Sostenere come valido per tutta l’umanità il punto di vista della propria cultura conduce a situazioni francamente grottesche. Così negli Stati Uniti si considera l’amputazione legale della mano del ladro, praticata in alcuni paesi arabi, come un attentato contro i diritti umani, mentre si discute accademicamente se sia più umano il cianuro in forma gassosa, la scarica da 2.000 volt, l’iniezione letale, l’impiccagione o qualche altra macabra variante della pena capitale. E’ vero, d’altronde, che in questo paese una grande parte della società è contro la pena di morte, proprio come, nei paesi che lo praticano, sono numerosi coloro che rifiutano qualunque tipo di castigo fisico per il reo. Lo stesso Occidente, dove gli usi ed i costumi sono in rapida trasformazione, si trova in difficoltà al momento di sostenere la sua idea tradizionale di famiglia “naturale”. Può esistere oggi una famiglia con figli adottivi? Certamente sì. Può esistere una famiglia dove la coppia sia formata da appartenenti allo stesso sesso? Alcune legislazioni ormai lo consentono. Cosa definisce allora la famiglia, il suo carattere “naturale” o l’impegno volontario a svolgere determinate funzioni? Su quali ragioni può basarsi la superiorità della famiglia monogamica propria di alcune culture su quella poligamica o poliandrica propria di altre? Se questi sono i termini della discussione, si può continuare a parlare di un diritto universalmente applicabile alla famiglia? Quali saranno i diritti umani che dovranno essere difesi relativamente a questa istituzione? E’ chiaro che la dialettica tra la tesi universalista (poco universale nella sua stessa area) e la tesi culturale, non potrà trovare sbocco nel caso della famiglia (che ho preso come uno dei tanti esempi possibili) e temo molto che non potrà trovare sbocco neanche in altri campi del sociale. Diciamolo una volta per tutte: qui è in gioco la concezione globale dell’essere umano, concezione che non risulta adeguatamente argomentata da nessuna delle parti in lotta. La necessità di una tale concezione appare evidente perché né il diritto in generale né i diritti umani in particolare potranno arrivare ad imporsi se non verranno chiariti nel loro significato più profondo. Non è il caso di porsi in astratto le questioni più generali del diritto. O si tratta di diritti che per essere vigenti dipendono dal potere stabilito, o si tratta di diritti che devono essere intesi come aspirazioni da realizzare. Su questo punto, abbiamo detto in un’altra occasione (“La legge” ne Il paesaggio umano - Umanizzare la terra): “La gente pratica non si è persa in teorizzazioni ma ha dichiarato che la legge è necessaria per la convivenza sociale. Si è anche affermato che la legge viene fatta per difendere gli interessi di coloro che la impongono. Sembra proprio che sia la situazione di potere già esistente ad instaurare una determinata legge, la quale a sua volta legalizza il potere. Pertanto il tema centrale è quello del potere inteso come imposizione di un’intenzione, accettata o meno. Si dice che la forza non genera diritti ma questo è un controsenso che può avere un minimo di valore solo se si pensa alla forza in termini di brutalità fisica; in ogni caso, poi, la forza (economica, politica ecc.) non ha bisogno di mettersi in mostra per far sentire la sua presenza ed imporre rispetto. D’altra parte anche la forza fisica (per esempio quella delle armi), espressa come cruda minaccia, impone delle situazioni che poi verranno giustificate a livello legale. E non dobbiamo ignorare che l’uso delle armi contro qualcuno dipende dall’intenzione umana e non da un diritto”. E più avanti: “Chi viola una legge nega una situazione imposta nel presente ed espone la propria temporalità (il proprio futuro) alle decisioni altrui. Ma è chiaro che il ‘presente’ in cui la legge entra in vigore affonda le sue radici nel passato. Il costume, la morale, la religione od il consenso sociale sono le fonti abitualmente invocate per giustificare l’esistenza della legge. Ciascuna di esse, a sua volta, dipende dal potere che l’ha imposta. E tali fonti vengono messe in discussione quando il potere che le ha originate è tanto decaduto o si è tanto trasformato che il mantenimento del precedente ordine giuridico si scontra con ‘ciò che è ragionevole’, con ‘il senso comune’ ecc. Quando il legislatore cambia una legge o quando un insieme di rappresentanti del popolo cambia la Costituzione di un paese, non c’è violazione apparente della legge perché costoro non risultano esposti alle decisioni altrui dato che hanno in mano il potere od agiscono come rappresentanti di un potere; situazioni come queste mostrano chiaramente che è il potere a generare diritti ed obblighi e non il contrario.” Per concludere la citazione: “I Diritti Umani non hanno la vigenza universale che sarebbe desiderabile perché non dipendono dal potere universale dell’essere umano ma dal potere di una parte sul tutto; e se le più elementari rivendicazioni della libertà di disporre del proprio corpo sono calpestate in tutte le latitudini, possiamo solo parlare di aspirazioni che dovranno trasformarsi in diritti. I Diritti Umani non appartengono al passato, stanno nel futuro attraendo l’intenzionalità, alimentando una lotta che si ravviva ad ogni nuova violazione del destino dell’uomo. Pertanto, qualunque rivendicazione di tali diritti è sempre valida giacché mostra che gli attuali poteri non sono onnipotenti e che non controllano il futuro.” In questa sede non è necessario tornare sulla nostra concezione generale dell’essere umano né riaffermare che la nostra accettazione delle diverse realtà culturali non vanifica l’esistenza di una struttura umana comune che nel suo divenire storico tende a far convergere tali realtà. La lotta per l’instaurazione della nazione umana universale è anche la lotta, che coinvolge ciascuna cultura, per l’affermazione di diritti umani sempre più precisi. Se, in un certo momento, all’interno di una cultura si nega il diritto alla vita piena ed alla libertà ed al di sopra dell’essere umano vengono collocati altri valori, è perché lì c’è stata una deviazione, una divergenza rispetto al destino comune; pertanto l’espressione di tale cultura relativamente a quel preciso punto dovrà essere chiaramente ripudiata. Certo, ci serviamo di formulazioni imperfette dei diritti umani ma per ora esse sono le uniche che abbiamo a disposizione, per cui dobbiamo difenderle e perfezionarle. Data l’attuale situazione di potere, i diritti umani debbono oggi essere considerati come delle semplici aspirazioni e non possono avere una vigenza piena. La lotta per la piena affermazione dei diritti umani porta necessariamente a mettere in discussione i poteri attuali ed ad agire nella prospettiva di sostituirli con i poteri di una nuova società umana. Ricevete, con questa lettera, un caloroso saluto.

21 Novembre 1993

-—————————– \1. L’Autore fa un gioco di parole intraducibile basato sul fatto che in spagnolo caveau si dice “arca” (N.d.T.).

Lettere ai miei amici - 10